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DUNKIRK regia di Christopher Nolan

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julian     5½ / 10  14/10/2017 13:14:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nolan è un esperto orologiaio, i suoi film più celebri (Memento, The Prestige, Inception) sono meccanismi che si innescano al momento giusto e suonano un'armonia complessa e funzionante in ogni sua parte.
Le cronologie delle sue storie, subendo lo stesso trattamento, si frantumano in molte parti e si ricompongono, lasciando alfine lo spettatore con un'impressione di compattezza, di una struttura sinfonica, orchestrale.
Con Il ritorno del cavaliere oscuro i meccanismi hanno cominciato a incagliarsi, a girare a vuoto, mentre la pecca più evidente di Interstellar appare quella di aver osato troppo, perdendo di credibilità e unità.
Tutti ci stavamo chiedendo, con trepidazione, come il regista che ha portato i paradossi di Escher su pellicola avrebbe affrontato la guerra.
Dunkirk ci fornisce una risposta ovvia, ma non così tanto: è un ingranaggio bello grosso anche questo, che scorre su tre tempi diversi, un vero e proprio countdown verso la salvezza (e del resto è un'evacuazione) suggerito dal ticchettìo costante del tema in sottofondo.
La colonna sonora di Zimmer, gigantesca e invasiva, è la vera colonna vertebrale di un film sostanzialmente muto: è essa stessa a plasmare le immagini, a muovere le forze, a raccogliere tutto il rumore residuo – bombe, proiettili, navi che affondano – e a farlo suo, inglobandolo nella composizione.
Alla lunga però la musica si scopre ripetitiva e irrisolta, non senza una certa programmazione e quel (bel) po' di autocompiacimento.
Non sarà che Nolan, ora che non è più un pivello che deve farsi conoscere, ma ha metà mondo che gli pende dalle labbra, abbia cominciato ad abbozzare i discorsi, perché tanto sa che qualcuno li completerà per lui ?
L'impressione è che stia andando esattamente così e che la pratica onanistica dei Nolan sia ormai irreversibilmente fuori controllo.
In Dunkirk c'è di più della delusione di un Cavaliere Oscuro 2 che carica carica il colpo e poi sbaglia a colpire;
la vicenda storica è quella della resa degli alleati che nel 1940, accerchiati dai tedeschi, evacuarono il continente e Nolan mette in scena una resa narrativa figurata, un'anti-spettacolarizzazione del racconto di guerra dopo averne fatto assaggiare potenzialità altissime, una rinuncia quasi, un progressivo ritiro nella tranquillità, incarnata dalla Patria Inghilterra, dopo aver fatto rombare la macchina più e più volte, con l'incessante colonna sonora e con immagini che raccontano di un climax verso un punto convergente che non c'è.
Dunkirk in pratica è il più grosso inganno di Nolan; è dal 2006 che il cineasta britannico ci sta avvertendo, quando si autodichiarava come prestigiatore, come un ricercatore del trucco che tenesse impegnato e coinvolto lo spettatore, nient'altro.
La Guerra di Nolan è asfittica, lenta e lascia senza punti di riferimento, è più uno stato mentale creato che una cosa mostrata: l'impressione di trovarsi sempre sotto tiro, come preannuncia la scena iniziale dove vengono freddati tutti meno che Tommy, uno dei "protagonisti", l'angoscia costante dei colpi di mortaio che cadono lì accanto a te nel cinema, le soggettive limitate dei protagonisti e non l'onniscienza di uno spettatore che si gusta la guerra dall'alto.
Nolan ha cercato di aderire alla realtà oltre ogni soglia di sopportazione, addirittura de-spettacolarizzandola: che ne è delle 400000 unità evacuate ? Se ne vede una piccolissima parte sulla spiaggia; ancora meno si vede in mare (furono migliaia le imbarcazioni private che partirono dall'Inghilterra) e in cielo, dove Tom Hardy intraprende un volo eroico guerreggiando con le nuvole e con qualche bombardiere tedesco che appare ogni tanto.
Insomma non succede nulla. Nulla di tutto quello che vi aspettereste da un film di guerra, almeno.
La scarsità di mezzi non può essere la giustificazione, il minimalismo è ricercato e voluto.
Che Nolan abbia voluto dirci proprio questo ? La realtà è più povera di quanto non vogliano far passare le cronache ? (l'episodio del giovane George, morto per un incidente banale e celebrato da eroe, ne è testimonianza). Che la guerra non è il luogo delle gesta eroiche, non è il massiccio attacco di Pearl Harbor con commovente risposta di Ben Affleck e Josh Hartnett, ma una lenta attesa nell'agonia e nella confusione, una serie di piccole azioni che diventano piccole vittorie emotive di fronte alla disperazione generale ("forse si è rifugiato qui per fuggire, come tutti noi").
A livello concettuale, l'idea di rigettare il modo Hollywoodiano di fare la guerra è ottima, così com'è ottima la scelta di fare il minor uso possibile del digitale, di far percepire il nemico solo attraverso i colpi sparati e di provare a dare nuova forma cinematografica al genere bellico: Dunkirk possiede senza dubbio alcune delle sequenze più spettacolari che il genere ricordi, il sonoro è probabilmente ai massimi storici e il comparto tecnico in generale non è da meno. I primi venti minuti fanno pregustare qualcosa di grosso e di diverso.
Rimane però una promessa procrastinata, un bluff bello e buono perché prima ti faccio vedere cosa posso fare e poi non lo faccio, un niente di fatto, un nulla di successo.
Tutti questi voli pindarici post visione decretano comunque il successo del prodotto, ma non possono staccargli di dosso l'impressione che si tratti di una presa in giro consapevole che porta a un punto critico il patto con lo spettatore.
Si può lasciarsi violentare da quest'ego sadico del regista, che vuole vedere fino a dove siamo disposti a spingerci per seguirlo. O si può gridare all'abuso, appellandoci al fatto che un film, in fin dei conti, è pur sempre una selezione, di cosa mostrare e cosa no, e dovrebbe tendere all'azione (specie se si tratta di un film di guerra !), non sparare cartucce a salve, dovrebbe essere una battaglia combattuta, non una resa, un lento ritiro.