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TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI regia di Martin McDonagh

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kafka62     8 / 10  16/01/2018 21:19:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dei film di Martin McDonagh non dovrebbe sorprendere l'abilità nella costruzione dell'intreccio e nella scrittura dei dialoghi, perché il regista inglese (ma di ascendenze irlandesi), ancorché vanti poche pellicole al suo attivo, può essere annoverato tra i più grandi autori di teatro viventi. Suoi sono autentici capolavori come Lo storpio di Inishmaan o Il tenente di Inishmore, che molti spettatori italiani hanno avuto la fortuna di vedere (a pochissima distanza di tempo dalla loro "prima" britannica e praticamente in contemporanea con gli allestimenti a Broadway) grazie alla meritoria attività del Teatro Stabile di Genova. Per dare l'idea della statura artistica di McDonagh basti dire che nel 1997 (quando aveva appena 27 anni!) ben quattro suoi spettacoli erano stati rappresentati simultaneamente nei teatri del West-End londinese, un'impresa riuscita prima di lui solo a un certo William Shakespeare.
Ciò che invece andrebbe sottolineato maggiormente è il fatto che i film di McDonagh, e soprattutto la sua ultima fatica fresca vincitrice di quattro Golden Globe, sono incontestabilmente originali, in quanto capaci di svincolarsi tanto dai suoi precedenti teatrali quanto dalle influenze di altri registi (molti hanno citato, in modo non del tutto campato in aria ma forse un po' semplicistico, i fratelli Coen o Quentin Tarantino). McDonagh è McDonagh e basta, non certo uno dei tanti parvenus citazionisti che proliferano al cinema nei nostri tempi. Il suo stile oscillante tra tragico e grottesco, tra amoralità e partecipazione emotiva, tra inverosimiglianze logiche e calibratissimi meccanismi ad orologeria, è unico, e porta alla costruzione di personaggi memorabili, inusualmente poliedrici e ricchi di sfaccettature. Se all'inizio del film è facile empatizzare con la determinazione, la cocciutaggine e l'assenza di scrupoli di Mildred (interpretata da una strepitosa Francis McDormand, nel ruolo più iconico della sua carriera), la quale si trasforma in una sorta di guerrigliera anti-establishment pur di far luce e ottenere giustizia sull'omicidio della figlia (capace di prendere a calci nelle palle un ragazzino impertinente, di gettare bottiglie incendiarie contro la stazione di polizia o di cacciare di casa il parroco venuto a parlarle per condurla a più miti intenzioni, in una scena esilarante che da sola vale il prezzo del biglietto), pian piano a emergere è l'umanità insospettabile di personaggi come lo sceriffo Willoughby di Woody Harrelson (le cui lettere lasciate dopo il suicidio, piene di tenerezza ma anche di ironia, sono una commovente testimonianza di una sensibilità difficilmente intuibile dietro il distintivo e la divisa) e soprattutto l'agente Dixon di Sam Rockwell (rozzo, ignorante, facinoroso e razzista, ma la cui parabola esistenziale si congiungerà inaspettatamente alla fine con quella di Mildred, in un finale aperto intriso di umanesimo e denso di interrogativi etici sul senso della vendetta e della giustizia da ottenere a tutti i costi). Nei Tre manifesti a Ebbing, Missouri bene e male si confondono, in un relativismo morale che può portare tanto a comportamenti cinici e spregiudicati quanto a gesti di solidarietà e di altruismo. McDonagh scoperchia il vaso di Pandora della rude, soffocante, arretrata provincia americana (quella che probabilmente ha votato Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali) e si diverte a osservare come un entomologo il vorticoso crescendo di irrazionalità e di violenza in cui si trovano a dibattere i suoi personaggi, trattenendo la compassione e smorzando l'ironia, senza peraltro cancellare del tutto la speranza.
Originale nella costruzione e professionalissimo nella messinscena, Tre manifesti a Ebbing, Missouri si fa altamente raccomandare come una pellicola da non perdere per nessun motivo.