caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

L'INSULTO regia di Ziad Doueiri

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Thorondir     7 / 10  15/09/2018 12:03:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è molto da scrivere su questo film. Cercherò di dire in breve cosa ne penso.

A Doueiri non serviva la storia di due persone che litigano per un tubo, serviva un retroterra politico su cui costruire quello che è essenzialmente un film politico. Non un dramma o un thriller legale come ho letto sui giornali. L'insulto è un film politico e i due personaggi del meccanico cristiano falangista e del carpentiere rifugiato palestinese servono al regista per tornare sui dolori della guerra civile libanese. Anche il processo, più che soffermarsi sulla vicenda dei due, che verterebbe semplicemente sul fatto della legittima difesa o meno (codice penale 228), diventa un eviscerare i dolori mai sopiti del passato: e sia chiaro, da questo punto di vista, contrariamente a ciò che si è detto sul film, il regista non è imparziale anche se cerca di esserlo. La sua visione è quella dei cristiani e ha anche affermato che il film è stato girato per dare ai cristiani ciò che l'opinione pubblica dal suo punto di vista ha spesso messo in secondo piano. Altrimenti non si spiega la scena della rievocazione in tribunale del massacro di Damour, tacendo il fatto che fu la ritorsione musulmana per il precedente massacro cristiano di Karantina. Insomma, sebbene Doueiri faccia un po' il piacione cercando di essere equidistante e dando un po' agli uni e un po' agli altri, il film è sbilanciato verso il punto di vista dei cristiani. E infatti cristiano è il protagonista principale. Proprio nella politica Doueiri fallisce clamorosamente, arrivando a girare un film che sembra voler gettare la croce sul mezzo milione di palestinesi rifugiati in Libano senza spiegare il perchè sono lì e il loro ruolo di emarginati, cittadini senza patria e esclusi anche dalla vita che conta nello stesso Libano. Tutto il tentativo di virare il film dalla vicenda personale alla politica finisce non solo per non funzionare perchè da uno sguardo di parte (seppur furbescamente mascherato), ma risulta anche incomprensibile comprendere i lasciti della guerra civile. Anche chi come me ha studiato quell'area del mondo e il Libano, ha trovato estremamente superficiale un racconto per cui "tu sei chi mi ha causato dolore" e allora ci si picchia. Insomma, il lato politico fa acqua un po' da tutte le parti e forse non è un caso che anche in Libano il film sia stato criticato sia dalle frange più estreme dei partiti musulmani sia di quelli cristiani.

Decisamente meglio quando la vicenda rimane ancorata alla divergenza tra i due personaggi, ognuno con le loro storie, il loro passato, le paure, la famiglia, le contraddizioni. Quando il film racconta la vita delle viuzze di Beirut, si riesce quasi a comprendere meglio la realtà del maldestro tentativo di voler buttare tutto in politica. L'aspetto che invece riesce è quello di aver disvelato le contraddizioni di un paese che i dolori della guerra civile li ha semplicemente messi da parte, ma che sono ancora lì, sopiti, pronti solamente ad essere risvegliati. E la frase finale dell'avvocato prova a riconciliare una storia di sofferenze, morti e sangue.

Nonostante i limiti dal punto di vista dell'impostazione politica del film, Doueiri ha il mertio di aver porttato sul grande schermo un film che ci parla di contraddizioni e che riapre ferite che solo ora si stanno chiudendo e lo fa girando complessivamente un film soliddismo nel comparto tecnico e con due attori che riescono a dare l'incertezza delle storie che si portano dietro. Per tutto questo, merita comunque di essere visto e che se ne discuta.
Thorondir  15/09/2018 12:07:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi scuso, nel rileggerlo mi sono accorto di moltissimi errori di scrittura, ma il senso credo sia chiaro.