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L'UOMO DEL TRENO regia di Patrice Leconte

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kafka62     7½ / 10  18/04/2018 09:09:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Ci sono due categorie di persone al mondo: quelle che hanno un solo spazzolino da denti e un solo dentifricio, e sono gli avventurieri, e quelle che invece ne hanno due, e sono i previdenti". Manesquier e Milan (magnificamente interpretati da Jean Rochefort e Johnny Halliday) sono i rappresentanti perfetti di queste due tipologie umane: ciarliero, abitudinario, sognatore, professore di francese in pensione il primo; taciturno, girovago, disilluso, rapinatore il secondo. Come a volte accade nella vita e al cinema, soprattutto quando pronubo è un regista sensibile come Patrice Leconte, gli opposti si incontrano e, anche se solo nel sogno, si scambiano i ruoli. Manesquier brama qualcosa di diverso, qualsiasi cosa, perfino una rissa al bar o una rapina in banca, rispetto alla ammuffita immobilità a cui da anni si è ridotta la sua vita ("eravamo bambini una volta, poi ci siamo fermati e siamo diventati due mummie", dice alla sorella), mentre invece Milan desidera proprio il contrario, una casa con i tappeti e il pianoforte, due pantofole, un tran tran quotidiano senza sorprese.
Si respira un'aria da romanticismo maledetto in questo film rarefatto, poetico e delicato, tanto è chiaro fin da principio, nonostante l'ironia dei dialoghi e delle situazioni, che per i due protagonisti non ci sarà un lieto fine. Entrambi hanno infatti un appuntamento col destino, e contro il destino (è bellissima la kieslowskiana sequenza in cui, la sera della vigilia, le automobili con le persone che avranno il giorno dopo a che fare con Manesquier e Milan si incrociano inconsapevolmente) si spezzano inesorabilmente le loro tardive velleità. Sul tavolo operatorio di un ospedale e sull'asfalto di una via cittadina si consuma l'estrema, inutile illusione, l'onirica sovrapposizione delle due esistenze, in una circolarità perfetta e disperata che fa chiudere il film là dove era cominciato: Manesquier si recherà alla stazione con una valigia in mano, proprio come nel prologo avevamo visto fare a Milan, e quest'ultimo si sederà in pantofole davanti al pianoforte, metafore entrambi della perenne insoddisfazione umana e del bisogno di credere, anche contro le evidenze, che c'è dell'altro al di là dei limiti angusti e soffocanti della propria vita.