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L'IMMAGINE ALLO SPECCHIO regia di Ingmar Bergman

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amterme63     8 / 10  10/03/2011 21:30:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bergman è troppo forte, c'è poco da fare. Incredibile come tutte le volte riesca a coinvolgere e ad emozionare trattando sempre degli stessi temi, addirittura usando quasi le stesse forme.
Ci riesce per il semplice fatto che l'animo umano è un universo estremamente vario e complesso e quasi nessuno si azzarda ad esplorarlo in profondità. Noi stessi (persone normali di tutti i giorni) siamo i primi a trascurarlo, a ignorarlo o almeno a non volerci guardare a fondo. Occorrerebbe uno sguardo impegnativo, scomodo e a volte spiacevole. Trovarsi davanti a qualcosa come un film di Bergman, che scava impietoso, che riporta a galla sensazioni, ricordi, esperienze, suscita tutte le volte tensione, sconcerto, quasi disagio. In ogni caso non lascia indifferenti, sempre che si sia predisposti a questo tipo di "esplorazione" nei meandri dell'animo e del pensiero umani (in caso contrario non si può che provare noia o fastidio). In questo film poi Bergman riesce soprattutto a tradurre in splendide immagini oniriche - ma concrete e forti - quello che è normalmente impalpabile e spirituale.
Il tema è quello della nevrosi, la quale può portare a compremettere seriamente il rapporto con il reale e persino ad atti (auto)distruttivi. E' lo stesso tema già mirabilmente trattato da Polanski in "Repulsion". Qui però il punto di vista è più complesso in quanto è soggettivo, ragionato e analizzato (seguiamo l'animo della protagonista e sappiamo tutto direttamente da lei), mentre in "Repulsion" si assisteva dall'esterno allo svolgersi dei fatti e di Carol si arrivava a sapere ben poco.
La singolarità è che Jenny, la protagonista vittima della nevrosi, è guarda caso una psichiatra, cioè una che dovrebbe curare questo tipo di disturbo psichico. Questo implica che la "razionalità" aiuta a conoscere ma non a risolvere il groviglio della propria psiche.
Cos'è che determina il sorgere della nevrosi nella protagonista? Senz'altro la solitudine, un sottile disagio interiore e poi la sensazione di fallimento sia nella vita che nel lavoro (il suo primario ammette tranquillamente il fallimento della psichiatria nel curare le persone: "le puoi aiutare ma non curare"). C'è poi il suo atteggiamento iperrazionale contraddittorio che la porta a togliere qualsiasi spontaneità e naturalezza agli atti e ai sentimenti. E' un piccolo/grande corto circuito aggravato dall'insonnia e da angosce che si materializzano nella visione (concreta e immaginaria allo stesso tempo) di una persona anziana severa e minacciosa.
A differenza di Carol che sfogava il suo disagio sugli altri, Jenny si sfoga su se stessa.
Tutta la parte del film che segue il tentato suicidio è quella più bella e affascinante. Già in "Il posto delle fragole" e "L'ora del lupo" Bergman aveva girato splendide scene oniriche. Qui si supera e ci regala delle scene oniriche angosciose e cariche di emotività (non si dimentichi che sono montate dopo che Jenny si è addormentata in seguito all'ingestione dei barbiturici).
La parte finale è carica di umanità, di esperienza, di riflessione. Tutto resta irrisolto ma almeno è più chiaro. Il fosso scuro e orribile che separava la rappresentazione di sé e il proprio essere effettivo è stato per lo meno esorcizzato e sono stati costruiti dei ponti sopra. La sofferenza, il ributtare fuori tutto il brutto e il terribile che uno ha vissuto è servito a essere più tranquilli e ad affrontare meglio e con nuovo spirito la vita.