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KAGEMUSHA - L'OMBRA DEL GUERRIERO regia di Akira Kurosawa

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elio91     8½ / 10  18/06/2011 18:05:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ha un unico difetto che non lo rende grandioso come i due precedenti lavori di Kurosawa,ovvero l'eccessiva lunghezza. Detto questo anche Kagemusha è l'ennesima perla all'interno di una carriera,quella di Akira Kurosawa,che trova un apice artistico da Dodeskaden in poi come costanza della realizzazione prodotti notevoli e indimenticabili.
Per quanto due ore e mezza non siano poi tantissime la trama e lo stile del regista si adattano su registri di ampio respiro e lentezza e ciò che vorrebbe essere solenne non sempre purtroppo lo è,e si sfiora (ma sfiora soltanto) la noia o la monotonia. Poi però si viene sorpresi dalla capacità di Kurosawa di imbastire un ritratto fedele del Giappone feudale e lo stile di rirpresa è un ritorno al vecchio Kurosawa: in parole povere,questo film lo avrebbe potuto girare benissimo trent'anni prima e non avrebbe sofferto un minimo dell'avanzare del tempo. Certo l'avvento del colore permette al regista di sfruttarlo appieno in sequenze di grande impatto estetico,specie quella onirica dell'imperatore/fantoccio che è tra le più evocative dell'intera opera.
Curioso pensare come Kagemusha sia quasi una sorta di rimpiazzo di un altro progetto pensato e meditato da tempo dal regista,quel Ran che poi realizzerà proprio successivamente a questo ma che non potè realizzare all'epoca per mancanza di soldi. Inoltre finalmente abbiamo trovato un'altra utilità a George Lucas al di là dell'invenzione di Star Wars: finanziare la versione internazionale del film insieme a Coppola dando così occasione a Kurosawa di terminarlo.

Minore rispetto a Dodeskaden e a Dersu Uzala come già accennato prima ma sempre tra i migliori del nipponico,attenzione. Le interpretazioni sono al meglio e si vede come il ritorno all'epoca dei samurai dopo un bel pò di anni sia l'ennesima occasione per Kurosawa di portare in scena un periodo di cui è innamorato,che gli dà occasione di esprimere una poetica capace di fondere insieme Dostojevskij e Shakespeare (ma per quest'ultimo meglio attendere Ran).
L'analisi questa volta si concentra su un periodo di cui vengono ritratti costumi e lotte (ma mai le guerre vengono mostrate interamente,perfino le scene che dovrebbero essere più d'impatto sotto questo aspetto vengono lasciate all'immaginazione) inoltre il vero fulcro è l'indagine profonda di un uomo che deve necessariamente cambiare e passare da ladro miserabile e meschino a re saggio e imponente. La sua ricerca di identità passa attraverso vari stadi secondo uno schema classico del cinema del giapponese (prologo e tre atti ben distinti) ma la trama si svolge lentamente e in maniera tutt'altro che canonica; la sensazione forte è di guardare tutta questa vicenda dall'esterno con il rischio di rimanere impassibili e di non capire spesso ciò che passa per la testa del protagonista e di tutti gli altri,per quanto le interpretazioni (specie quella principale) siano grandiose. Ottime anche le musiche,specie quelle usate nei titoli di coda.
Nel finale però l'emotività quasi esplode in una sequenza indimenticabile anch'essa in cui il miserabile dimostra di aver davvero incarnato lo spirito di chi andava a sostituire e ritrova un'idendità nell'atto finale disperato che lo porta verso l'inevitabile fine.
Apocalittico ed epico, capace di scavare l'animo umano e di mostrare la ricerca quasi pirandelliana di un'identità che cambia mutevolmente e poi sparisce fino a ritrovarsi solo in un atto conclusivo e disperato,anche con Kagemusha l'Imperatore colpisce nel segno.