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KAGEMUSHA - L'OMBRA DEL GUERRIERO regia di Akira Kurosawa

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amterme63     7½ / 10  19/06/2010 14:26:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Kurosawa è sempre stato un artistica eclettico dal punto di vista formale; ha sempre amato variare l'approccio stilistico alla materia che trattava.
A fronte della varietà di stili ha comunque sempre mantenuto sostanzialmente lo stesso approccio ai temi, alle storie che raccontava. Ciò che lo rendeva inconfondibile era il modo di vedere le vicende, cioè sempre e comunque dal punto di vista del vissuto umano e soprattutto senza alcuna distinzione sociale o etica (il povero e il reietto aveva lo stesso valore del ricco e del signore).
Questo atteggiamento era un retaggio culturale dei grandi autori letterari realisti dell'800 (su tutti Dostojevskij), reso vivo però dal tremendo shock collettivo e umano vissuto dal Giappone con la II Guerra Mondiale e dal grande e nobile sforzo dei Giapponesi di tentare di ricostruire una nuova società migliore della precedente. In quest'atmosfera di rapporto diretto e costruttivo con il reale, il cinema di Kurosawa trovava riscontro e successo.
Con gli anni '70 le cose cambiarono radicalmente anche in Giappone. La società si era economicamente e socialmente stabilizzata e si era data il volto del consumo materiale ed edonistico degli oggetti. Le singole persone, con il loro impegno etico, non erano chiamate a partecipare a niente se non a consumare e quindi non avevano più la centralità nel sistema. Le vicende umane esemplari e forti di Kurosawa non interessavano o colpivano più come una volta (vedi il fallimento di Dodes'ka den), ora il pubblico voleva solo "godere" e consumare i propri vizi e le proprie paure.
Kurosawa non aveva perciò più gli stimoli a continuare nel suo tipico cinema e dovette giocoforza cambiare e ripartire da zero. Lasciando perdere il reale con i suoi problemi (di cui alla massa importava poco), si rivolse agli universali della storia umana e della concezione artistica.
I film dell'ultimo periodo sono molto più rarefatti e quasi astratti, si ha più attenzione ai concetti e ai modi e molto meno alle persone. Questo periodo inizia proprio con Kagemusha.
Ciò che salta all'occhio di questo film è l'estrema cura e bellezza formale delle scene. C'è una cura maniacale del colore, della luce, degli spazi, del vento, pure gli interni e la disposizione dei personaggi sono curatissimi (a volte sembra di vedere un quadro olandese del 600). I tempi e gli avvenimenti sono rarefatti, contratti, tolti da logiche narrative o d'azione. Prevale nettamente l'approccio teatrale ed epico.
Si vuole quindi celebrare un'epoca e il suo spirito, visti in maniera tutto sommato distaccata e riflessiva, più che in maniera tumultuosa o vissuta (come ad esempio nel Trono di Sangue).
Ne fanno le spese i caratteri rappresentati, visti in funzione dello spirito dell'epoca piuttosto che nel loro specifico umano. Del protagonista, il Kagemusha, vediamo e sappiamo soprattutto quello che è inerente alla storia. Si viene a sapere pochissimo del suo vissuto passato, del suo specifico umano. Ci concentriamo sulla capacità che ha anche una persona del popolo di entrare in uno spirito da condottiero e di prenderne virtualmente il posto. La forza dell'animo fa a cozzi però con la forza delle forme e così anche se il Kagemusha ha grandi doti non potrà mai impiegarle perché è sempre e comunque un uomo del popolo. Questo lui non lo capisce e si immedesima talmente nel nuovo ruolo che finisce per annullarsi in esso. Acquisisce insomma una nuova personalità datagli dalla nuova funzione che si trova a ricoprire. C'è molto di Pirandello in tutta questa storia.
Il succo del film è quindi la dicotomia personalità-ruolo sociale, uno degli universali della cultura occidentale.
L'unica puntata nell'animo del protagonista è rappresentata da uno splendido sogno surrealisticamente colorato, che è una delle scene più suggestive del film.
Qualcosa del "vecchio " Kurosawa c'è però ancora. Su tutto la condanna della guerra. Il ralenti con cui è riassunto il tragico risultato della battaglia finale sta lì chiaro a dimostrare la posizione ideologica del regista.
Altro concetto caro al maestro è poi la superiorità della saggezza sulla forza. Shingen è un condottiero abile perché sa misurare le forze, ragiona con la testa e astrae da se stesso, suo figlio è il contrario, impulsivo, contorto dentro, e quindi votato alla distruzione.
E' un film visivamente sublime (grazie soprattutto ai soldi degli amici americani), però, se devo dire la verità, mi ha deluso un po'. Preferisco di gran lunga il Kurosawa "povero" ma estremamente pieno di vita.