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I TEMPI CHE CAMBIANO regia di André Téchiné

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  28/08/2005 23:44:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Resci a sentire la pioggia? E' uno dei rumori che preferisco"

Non è facile apprezzare un regista come Tèchinè: c'è sempre un lieve fremito, un sussulto, davanti a quel discanto sentimentale così "francese" che i detrattori del cinema più raffinato, da salotto, detesteranno. Ma è ancora una volta la preservazione di un destino modesto, l'etica della paura, il suo tema dominante. Sorretto da un montaggio irriverente e solo apparentemente tortuoso (lo è per chi non conosce T.), "I tempi che cambiano" è un'opera che privilegia e smonta ogni verità al servizio di un'esistenza che non ha apparentemente alcun preconcetto sull'imprevedibilità e sulle attenuanti del "caso". Il destino attende i protagonisti al varco, e nulla è più come prima. Tutto puo' essere costruito e distrutto attraverso quel gioco sottile tra paradosso e realtà, cio' che noi troviamo improbabile è l'esigenza di conoscere a fondo l'imbarazzante assurdità di certi schemi di vita. Il film rivela, attraverso una serie infinita di particolari, una "larva" che puo' disorientare o affascinare, a seconda dei punti di vista, lo spettatore. Cio' che più conta è che, attraverso l'estinzione delle proprie radici, la storia sofferta e un po' patetica di un vecchio amore (script classicissimo e abusato) diventi nelle mani del regista qualcosa di ben diverso. Tentativo di T. è forse quello di ristrutturare questa classicità. Le radici dell'amore degli affetti o del luogo di provenienza diventano corpi che si separano, e si ritrovano, minati dal "rumore" di un cantiere in costruzione, di incidenti involontariamente comici o sorprendenti drammatici (l'aggressione dei cani al figlio di Cecile fa davvero temere per la sua vita). Cio' che mi piace di questo autore è proprio questa capacità innata ma sorprendentemente naivete di cogliere nello spettatore la sorpresa che non c'è, e di ingannarlo dolcemente con tutta la sua strategia bucolica dell'inquieto essere (umanità). Antoine è un personaggio che nella sua abbienza economica mostra l'unica vanità di perseguire un desiderio affettivo forse impossibile. E' goffo, fin troppo predisposto ai danni fisici e agli incidenti, lascia cadere un'ingente somma di denaro davanti al suo rivale, vagamente viscido nella sua patologica possessione, eppure sa che per comprare l'amore non puo' affidarsi a una sicurezza economica a cui non dà alcuna importanza (con quanto spregio Depardieu inconsciamente si libera dei verdi bigliettoni salvo poi quasi fastidiosamente raccoglierli da terra).
Cecile è la rappresentazione canonica della persona che osa proteggere la sua (in)stabilità retriva e coniugale per PAURA. E' PAURA quella che attraversa tutti i protagonisti della storia: quella corporale/sessuale/psicologica di una ragazza islamica dominata dal terrore di una società maschile piu' apparente che reale, quasi intimorita davanti al conflitto culturale con la sorella gemella (in una società di regole imposte la divergenza siamese è un ricatto prestabilito dal rifiuto di una delle parti), quello - appunto - dell'apatia letargica e depressiva di S., il suo fastidio per le attenzioni, il bisogno insopportabile di abbandonare il mondo e reclamare aiuto ma invano. La paura del figlio di Cecile, che vive avventure omosessuali con un prestante marocchino, ma decide comunque di rimanere al fianco di lei, per proteggerla o per proteggere se stesso dalla propria scoperta disinibitoria. O del medico, marito di Cecile, prototipo idealista e un po' profano di islamico moderno, reticente adultero e tragico Adamo il cui corpo guazza continuamente nell'acqua del mare di Tangeri o nella piscina di casa. Il tutto, nel dolore di un sopravvento che pare ineludibile e incongruo (una finestra ermeticamente chiusa su un passato 1, la rivelazione di quanto esso sia stato importante 2, l'impossibile sconfessione di esso 3, l'inevitabile bisogno di un confronto presente con Ieri - cfr. la "pausa" di Cecile che sovverte la sua "paura". In un'oceano di dialoghi straordinari eppure così banalmente concettualizzati (tutto cio' che sembra ovvio, lo è nella misura in cui la prevedibilità dell'espressione è rara da raggiungere), Tèchinè riscopre un'attualità che lascia sopraffatti: uso del digitale, rumorismi, il fango della terra come metafora negata di un Futuro inevitabile ma inesorabile, un Marocco in bilico tra Occidentalizzazione Medianica (la rivalità con la rete di Al Jazeera, le notizie degli ostaggi) e forse il declino dello status symbol (Parigi?).
Nel conflitto tra le ragioni, i Viandanti di oggi sembrano quasi fantasmi di un'identità etnica e culturale in transito tra la ragione di sè e quella degli altri (non è forse il Marocco uno dei transiti indispensabili per l'Occidente?).
Su tutti, un Depardieu perennemente strepitoso nella sua lascivia esuberanza (e negazione) e una Deneuve sempre così straordinariamente anti-glamour, e proprio per questo vinta dalla stessa appariscenza interiore: cuore e distacco odierno, conflitto e riverenza di tutte le presunte (non vere) aridità
maremare  30/08/2005 08:41:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ottimo commento.
ecco un film che non voglio perdere