Dom Cobb 7 / 10 03/05/2012 18:05:24 » Rispondi All'inizio ero un po' indeciso sul voto da dare a questo film, ma essendo questo secondo me migliore del L'uomo dalla pistola d'oro, cui ho dato sei stelle e mezzo, ho deciso di dargli il voto che potete vedere. Non è così alto perché, a differenza di quello che la maggior parte della gente dice su questo film, La spia che mi amava non mi convince come dovrebbe. Eppure, le idee ci sono, l'azione è presente così come l'ironia, un buon villain (purtroppo senza senso dell'ironia) anima la pellicola nei momenti giusti senza essere troppo invadente
e Squalo con i suoi denti d'acciaio è ormai mitico
Moore gigioneggia allegramente in compagnia di una bellissima e tosta Barbara Bach (il nome sembra un po' uno scioglilingua, vero?). Forse è semplicemente il fatto che fra tutti i Bond in VHS, questo è quello che ho visto di meno; in ogni caso, forse è il fatto che, a parte qualche guizzo
non c'è niente di veramente memorabile. In ogni caso, ci si diverte senza problemi. In fondo, non è affatto da buttare, e mi ha sicuramente convinto più dell'Uomo dalla pistola d'oro; inoltre, la colonna sonora è forte, anche se sembra rifarsi un po' troppo ai Bee Gees.
Dom Cobb 06/09/2022 14:59:31 » Rispondi Un sottomarino nucleare britannico e uno russo spariscono senza lasciare traccia; i rispettivi governi inviano James Bond, agente 007 e Anya Amasova, agente Tripla X, a indagare. I due, inizialmente avversari, sono costretti ad allearsi con l'emergere di una potenziale minaccia all'ordine mondiale orchestrata dal miliardario pazzo Karl Stromberg... A metà degli anni '70, la serie dell'agente segreto più famoso del mondo, impantanata in un periodo di relativo disinteresse critico e pubblico e reduce da intoppi come l'abbandono del produttore Harry Saltzman, decide di reinventarsi e lo fa in grande stile: sotto la guida di Albert R. Broccoli, l'altro patriarca del franchise, si rischia il tutto per tutto, il budget viene raddoppiato, la regia e il team creativo viene affidato alle familiari mani di Lewis Gilbert e altri veterani della serie e si abbandona l'approccio tradizionalmente spionistico virando verso uno più improntato all'action e alla spettacolarizzazione estrema. Il risultato ha garantito la sopravvivenza della serie, conquistando una nuova e nutrita legione di fan per almeno un altro decennio e ancora oggi "La spia che mi amava" viene ricordato un po' da tutti come uno degli apici della serie. Con rispetto, non mi unisco al coro di lodi. Partendo dagli aspetti positivi, il budget più elevato si nota fin da subito: "La spia che mi amava" è senza dubbio, tra i film di Bond dell'epoca, uno dei più maestosi e imponenti, capace di fare un buon uso di varie ammalianti locations ulteriormente impreziosite dal formato panoramico widescreen, in cui a farla da padrone sono campi lunghi e panoramiche con i personaggi ridotti a una minima parte del contenuto dello schermo.
Si ricordano a tal proposito le riprese del furgone di Squalo mentre attraversa il deserto egiziano all'alba o la perizia con cui persone grandi quanto un mignolo vengono integrate alle riprese della maestosa base acquatica di Stromberg mentre emerge dall'oceano.
Giova da questo punto di vista un comparto tecnico di prim'ordine, fra cui una sgargiante fotografia, le scenografie del solito, maiuscolo Ken Adam ed eccellenti effetti speciali, con un utilizzo di modellini ed effetti pirotecnici che fino ad allora non aveva eguali nella serie. Inoltre, l'azione prende il sopravvento sullo spionaggio e ciascuna di queste locations, che siano le Alpi austriache, il complesso di Karnak o i porti della Sardegna, divengono immense arene in cui inscenare una serie di spettacolari scene acrobatiche, alcune giustamente entrate nell'immaginario collettivo per la loro baldanza, con decenni di anticipo sulle prestazioni dal vivo di Tom Cruise.
Su tutte rimane impresso il salto iniziale dalla cima della montagna con sci e paracadute, un'unica ripresa immersa nel silenzio più totale, senza trucchi o filtri o tagli mentre lo stuntman precipita nel vuoto in caduta libera.
Infine e non meno importante è un certo ritorno alle radici e al modo in cui ci si concentra maggiormente su alcuni degli elementi basici della formula bondiana che hanno reso la serie il successo che è. Fra questi spiccano i gadget ipertecnologici, di recente messi un po' in disparte, come una macchina Lotus superaccessoriata; i villain megalomani in stile Goldfinger con tanto di braccio destro gigantesco e forzuto, in questo caso uno dei più fortunati di sempre, cioè lo Squalo di Richard Kiel; e un certo andare sopra le righe con l'utilizzo di sottile umorismo, rimanendo comunque nell'ambito del buon gusto,senza scadere nel grottesco, com'era invece successo negli ultimi episodi. Detto questo, però, bisogna tenere conto dei difetti, che a mio parere non sono pochi; per dirla in modo semplice, l'intero film, per quanto ben realizzato tecnicamente, non ha quella marcia in più che potrebbe renderlo uno dei grandi della serie. Fin dall'inizio si ha la sensazione di stare col freno a mano tirato e l'intera vicenda somiglia più a una prova generale, un test per vedere se questo nuovo approccio funziona prima di dedicarcisi in maniera più decisa. Il ritmo è lento, ai limiti del letargico, e non è supportato da una sceneggiatura priva di scambi frizzanti o battute memorabili, priva del mistero che ci si aspetterebbe da un film che, pur improntato all'azione, è comunque di matrice spionistica ed ha come protagonisti agenti coinvolti in un'indagine.
Il film è talmente poco interessato all'indagine in sé per sé da svelarci fin da subito non solo chi è la mente criminale dietro a tutto questo, ma anche a spiattellarci o comunque rendere evidente il suo scopo senza che Bond o Anya facciano chissà quale lavoro da detective.
E se è vero che l'azione è spettacolare, lo stesso non si può dire delle coreografie dei combattimenti, dilettantesche e quasi risibili per come sono pacchiane,
Lo scontro sul tetto del palazzo del Cairo, fra Bond e lo scagnozzo Sandor, è una perla di pessimo combattimento corpo a corpo.
né in generale dell'esecuzione dell'azione in sé: gli inseguimenti sugli sci e sulla Lotus si svolgono con una linearità che tradisce una certa mancanza di idee o di coraggio, senza quel guizzo di creatività in più che poteva renderli più memorabili e il finale, dopo un inizio frizzante, si dilunga all'inverosimile facendo svanire ogni accenno di tensione.
Capisco che oltre alla nave che alberga i sottomarini e controlla il lancio dei missili bisogna anche distruggere la nave di Stromberg, ma il tutto viene eseguito con una mancanza di energie che a tratti sconfina nella svogliatezza: lo scontro finale con Stromberg si riduce a un breve confronto con un pistolone truccato sotto il tavolo e la battaglia contro Squalo è blanda e, ancora una volta, pessimamente coreografata, proprio come il primo confronto a Karnak.
Colpa anche delle musiche di Marvin Hamlisch, che nonostante abbiano stile non solo presentano una tale varietà di temi e sonorità da sembrare che provengano tutte da film diversi, creando una colonna sonora estremamente discontinua, ma vengono anche usate in maniera centellinata: gran parte delle scene si sviluppa in un silenzio che accentua il ritmo lento, rendendole alle lunghe un po' noiose.
Va però detto che l'arrangiamento di Hamlisch del tema di James Bond, così com'è usato in alcuni momenti chiave del film, è d'impatto con quelle sue sonorità disco che devono molto al successo dei Bee Gees. E' una scelta bizzarra, ma stranamente, nel contesto eclettico della pellicola, funziona.
Né mi spiego la candidatura all'Oscar della canzone, carina e orecchiabile, ma niente di trascendentale. Il cast se la cava invece piuttosto bene, soprattutto gli inglesi: Roger Moore finalmente è in grado di rendere veramente suo il ruolo, la patina di lieve, rigida antipatia è scomparsa e lui riesce a far emergere, oltre allo charme e alla naturale eleganza che lo hanno sempre contraddistinto, anche l'umanità e la sincerità di fondo che prima erano assenti. Barbara Bach, carina ma più legnosa di una cassapanca, non gli tiene testa in modo adeguato e il legame che si dovrebbe creare fra Tripla X e Bond ne risente, risultando poco credibile, poco approfondito e soprattutto troppo sbilanciato a favore di Bond per rendere lei una sua eguale. Curd Jurgens fa del suo meglio, ma il suo Stromberg è troppo blando e monodimensionale, troppo privo di caratteristiche o battute interessanti per risultare memorabile e si fa mettere totalmente in ombra dallo Squalo di Kiel, iconico e buffo al punto giusto. Insomma, "La spia che mi amava" riesce nel suo intento di presentare un Bond di Moore "aggiustato" rispetto agli esordi e a rinnovare la serie con un approccio più diretto e commerciale. Questa formula riadattata per un nuovo pubblico è ancora acerba e presenta dei difetti che purtroppo influiscono sul risultato finale, ma rimane nel complesso un'esperienza abbastanza godibile, visivamente appagante e con qualche momento ed elemento rimasti nell'immaginario collettivo, con quella patina da anni '70 che sprizza "Classico Bond" da ogni frame. Divertente, ma migliorabile. VOTO: 6,5