caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

ED WOOD regia di Tim Burton

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Godbluff2     9 / 10  27/01/2023 21:29:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'agiografia di un incapace. L'amorevole ritratto di un perdente. Si potrebbe sintetizzare così il secondo capolavoro della carriera di Tim Burton, basato sulla vita e le opere del famigerato "peggior regista di tutti i tempi", un uomo legato a doppio filo al suo più talentuoso collega dallo stesso fanciullesco amore per il cinema, incondizionato, genuino; in fondo "Ed Wood" è anche l'atto d'amore dichiarato di Burton verso la Settima Arte, soprattutto rivolgendo lo sguardo a quel cinema che, nel bene o nel male (c'è la costante dicotomia-un'attrazione/repulsione, una similitudine/differenza-tra Wood e Welles, il "peggiore" e il "migliore", con tanto di bellissimo dialogo tra i due verso il finale) cerca di prendere forma contro i compromessi imposti, di restare genuino, costantemente se stesso, come pensato da chi lo idea e vuole realizzarlo attraverso una cinepresa; poco importa, a Burton, che si tratti di un genio o di un mentecatto a fare questo. "Ed Wood" è un film pensato e realizzato con molto amore, privo di derisione, che sceglie di mostrare in modo indulgente e comprensivo questi cani assoluti della materia cinematografica perché, in fondo, infierire sarebbe come sparare sulla croce rossa.
Burton sceglie quindi questa impostazione per la sua regia, per lo sviluppo del suo racconto di Ed Wood, ma chiaramente un tassello centrale è rappresentato dalla sceneggiatura di Karaszewski e Alexander; se Burton è un ammiratore dichiarato di Edward (Mani di Forbice, si, a quanto pare Burton chiamò appositamente Edward quel personaggio...) i due scrittori non mi sono parsi poi da meno.
L'aspetto che ha del beffardo di questo film tuttavia è che, nel raccontarci delle disastrate, dilettantistiche produzioni di Wood, Burton realizza all'opposto il suo film più elegante nella forma, più raffinato nella messa in scena, il più curato tecnicamente, con un lavoro fondamentale di Burton e di Stefan Czapsky (bellissima la sua fotografia) nella scelta e nella costruzione delle spesso splendide inquadrature, e con la scelta intelligente del bianco e nero, con un effetto "atmosfera" assolutamente avvolgente. "Ed Wood" è insomma bellissimo "da vedere" nel senso più puro del termine, come altri film di Burton ma in modo diverso da essi. Ho girato un film formalmente splendido, visivamente splendido, pare dire Tim, mentre Edward li girava senza la minima consapevolezza tecnica, ma la nostra passione è identica.
"Ed Wood" è però anche un film che racconta con un ritmo scorrevole e squisitamente liscio; divertente, malinconico, drammatico, cambia pelle come Ed cambia abiti maschili-femminili ma il ritmo non perde un colpo; la costante è il tono assurdo che l'intera storia possiede ed è il campo dove Burton può sbizzarrirsi di più, fondendo il suo personale io con quello del protagonista: il mondo di Edward Wood Jr, fatto di piovre di gomma mosse manualmente dagli attori, dischi volanti di carta dipinti a mano e scenografie di cartapesta è la base seminale che ha costruito le fondamenta espressive per il mondo di Tim Burton, quello stesso mondo fatto di statue semoventi e vermi delle sabbie animati in stop-motion che ci hanno divertito in "Beetlejuice", quegli stessi buffi meccanismi tecnologici nel laboratorio di Vincent Price di "Edward Scissorhands"; Burton può raccontare la passione di Wood per un certo tipo di grande divo del passato, Lugosi nello specifico, rispecchiandosi nella sua passione per un certo tipo di divo del passato, come la sua ammirazione, collaborazione e amicizia con Vincent Price (ma anche, allargando il campo, l'apparizione di Sylvia Sidney in "Beetlejuice").
Questo scenario narrativo non ricerca il realismo, e il finale del film va letto in questa chiave, è un regalo di un ottimo artigiano del cinema ad un collega del passato tanto inetto quanto appassionato e animato dal sacro fuoco per il suo lavoro.
Nel fantastico mondo di Burton-Wood scorre una galleria di personaggi bellissimi, puntualmente reietti, tutti, in modo diverso, sventurati, inetti e deliziosamente amabili, che hanno i volti di Bill Murray, Lisa Marie, Jeffrey Jones, Sarah Jessica Parker, Patricia Arquette e anche se, per una volta, le musiche sono di Shore e non dell'Uomo-Elfo queste due ore di film sono pura essenza autoriale burtoniana.
E chiaramente, come per la regia e gli aspetti tecnici della realizzazione del film, se nei film di Edward gli attori erano dilettanti allo sbaraglio (non era Orson Welles, Ed, mi sa che non era nemmeno De Sica, per dire eh) in questo film soprattutto i due protagonisti sono su livelli d'eccellenza; la seconda collaborazione tra Burton e Depp è proficua ed efficace quanto la prima. Depp era un ottimo mutaforma nei suoi anni d'oro e qui offre un'altra delle sue migliori interpretazioni, attorone prima di incastrarsi nella macchietta automatica; ma è Martin Landau che fa il gigante.
Martin Landau (che si porta dietro anche la figlia Juliet, vecchia mia, alla quale tutta 'sta storia di babbo e Bela Lugosi ha fatto malissimo, pare) che tratteggia il suo meraviglioso Bela Lugosi, vecchio, dimenticato, devastato dalla dipendenza alla morfina, un non-morto triste eppure orgoglioso, un retaggio del passato, un uomo al quale non resta che vivere della luce riflessa sempre più debole dei suoi anni di splendore, un attore legato ad un modo di interpretare la recitazione destinato ad invecchiare in fretta. E su tutto, il suo sincero legame d'amicizia e affetto con il giovane regista che tanto lo ammira e stima.
Ecco, l'interpretazione di Martin Landau nei panni di Lugosi di certo non è destinata ad invecchiare in alcun modo. In lingua originale, con Landau che ricrea l'accento mittle-est europeo-balcanico di Lugosi, è del tutto da spellarsi le mani in applausi.
"Ed Wood" è un film stupendo, con il quale a ben vedere Tim Burton ha già raggiunto il picco massimo della sua carriera senza più essere destinato a ripetersi; uno di quei biopic in cui c'è così tanto del regista oltre che della figura protagonista da diventare qualcosa di estremamente personale, che va al di là di una semplice raffigurazione biografica di chicchessia.