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IL PONTE SUL FIUME KWAI regia di David Lean

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amterme63     8 / 10  24/10/2012 22:19:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Due ore e mezza passate molto piacevolmente. Bello questo primo kolossal diretto da David Lean. Il punto di forza è nella fotografia: splendente, affascinante, molto curata, suggestiva con i suoi campi lunghissimi, le panoramiche, le ambientazioni suggestive. E' una festa per l'occhio dalla prima all'ultima inquadratura. Certamente questo porta un po' a "falsare" o a idealizzare in senso estetico quello che era un ambiente terribile, difficilissimo in un periodo crudele (quello della guerra). Il film certamente non nasconde le difficoltà, le torture, l'inospitalità ambientale e il disagio fisico (eloquenti le classiche inquadrature dei soli a picco, degli avvoltoi che aspettano, dei paesaggi estremi), ma lo fa sempre con occhio "ammirato", certamente curioso e avido, interessato allo spettacolo prodotto dalla storia raccontata, più che all'avvenimento in sé. Spettacolo, ecco la parola magica e questo film non fallisce certo nel fornirlo. Lo scopo quindi è raggiunto con eleganza e qualità.
Il film kolossal classico carpiva in questa maniera l'attenzione e la meraviglia dello spettatore e ne approfittava così per veicolare più o meno sottobanco principi di natura ideologica. Lean inizia infatti con questo film la sua riflessione sulla natura, sul significato e sulle conseguenze delle leadership forti. Essendo un film prettamente commerciale e spettacolare le situazioni, i personaggi e i rapporti interpersonali tendono a essere semplici e convenzionali (vedi la rappresentazione degli indigeni e delle indigene). Le vicende diventano in questa maniera decisamente irrealistiche ma anche chiare e esemplari (e quindi meglio comprensibili e rappresentative).
Ne fa le spese soprattutto la truppa, descritta come una massa anonima che segue cecamente e senza discutere le direttive dei capi, li adora e non li mette mai minimamente in discussione. "Il ponte sul fiume Kwai" è forse uno dei film più "aristocratici" e meno "popolari" mai girati. I protagonisti sono dunque i "capi" e le ideologie che si sono incaricati di incarnare. Ci sono i due poli, quello europeo e quello asiatico, ognuno di loro schematicamente chiuso nei propri principi apparentemente opposti ma in realtà convergenti nell'esaltazione dell'astrazione a cui sacrificare la propria e l'altrui individualità. Fa da contraltare a questa visione ideologica e politica quella individualista (e anche un po' cinica) di Shear (tipicamente americana) e quella disincantata e umana del dottore.
All'inizio il film sembra celebrare le virtù razionali, civili e tecnologiche del sistema ideologico inglese (la fermezza e l'eroismo di Nicholson nel non cedere e rimanere fedele ai principi), poi piano piano si mostra che negli effetti pratici non è così dissimile da quello giapponese. Il senso di invasamento e di comando può portare ad andare oltre la propria missione, l'eccesso di zelo è altrettanto dannoso del disfattismo.
Devo dire che il finale mi ha sorpreso e mi ha fatto rivalutare tutto il film. E' chiaro che alla fine Lean ha voluto far capire quanti danni portino e quanta pazzia ci sia dietro la guerra e le grandi "imprese". Nessuno è vittorioso e tutti sono sconfitti. E' un finale coraggioso e poco conciliante che contrasta con l'ottimismo estetico e tecnologico mostrato nel resto del film.