Dom Cobb 7 / 10 12/11/2018 19:27:46 » Rispondi In un campo di prigionia in Birmania in piena Seconda Guerra Mondiale, ai prigionieri inglesi e americani viene imposto dai Giapponesi di costruire un ponte su un fiume per i loro trasporti bellici. Dopo le iniziali resistenze, i lavori hanno inizio, ma nel mentre alcuni si sforzano per assicurarsi che il ponte sia distrutto... Il film che ha dato il via al periodo dei kolossal per David Lean: se già all'epoca egli era considerato un regista di tutto rispetto, con lavori come questo ascese nel pantheon delle personalità più importanti ed influenti nella storia del cinema, e non è un caso se oggi Lean viene ricordato praticamente solo per i suoi film di fine anni '50 e degli anni '60, quelli più spettacolari, lunghi, epici e caratterizzati da un più elevato sforzo produttivo. Con queste premesse, però, devo ammettere che il film, sebbene mi sia piaciuto in generale, non mi è sembrato il capolavoro decantato da altri. Gli aspetti positivi sono senz'altro da ricercare nel lato tecnico, dove la regia di Lean, solida e di ampio respiro, si unisce a una fotografia strepitosa per dare vita e conferire un alto grado di spettacolarità ai vari paesaggi esotici in cui è ambientata la storia. In un modo o in un altro, ogni inquadratura restituisce il caldo soffocante, ci fa sentire minuscoli davanti alla vastità della giungla o del ponte in costruzione o da l'impressione di contenere più comparse di quante non ce ne siano davvero; e già solo aver ottenuto questo è un risultato notevole. Anche la recitazione è un punto a favore, ed è proprio merito degli attori se la vicenda risulta così convincente e i personaggi, a onor del vero in alcuni punti un po' trascurati, emergono con un tale spessore. A contendersi la scena sono un maiuscolo Alec Guinness e il comandante giapponese Sessue Hayakawa, impegnati in una gara di bravura dove, a conti fatti, ne escono pari.
Le scene più interessanti, paradossalmente, le ho trovate proprio quelle in cui i due ufficiali inglese e giapponese si ritrovano a parlare e a discutere con dignità e calma i loro differenti punti di vista.
A soffrirne maggiormente è invece William Holden, che si limita a fare il classico soldato boy scout tipicamente americano, e per di più relegato sullo sfondo la maggior parte del tempo; ironico, considerando che in più di un punto si ha la sensazione che sia lui il protagonista. E qui veniamo alle note dolenti, quasi tutte contenute in una sceneggiatura non proprio sviluppata al meglio: il punto è che il film è caratterizzato da un inizio folgorante, ma dopo i primi tre quarti d'ora perde improvvisamente mordente, il ritmo cala e così anche l'interesse a seguito di un drastico cambiamento delle dinamiche narrative.
Nel momento stesso in cui il personaggio di William Holden riesce a fuggire viene a mancare il senso di reclusione e l'urgenza della situazione, e col passare delle scene, man mano che si segue Holden fino al suo arrivo in mare e alla base alleata, e fino al suo ritorno al fiume, la cosa peggiora sempre più.
In generale si ha la sensazione di assistere a una sottotrama dilatata per le lunghe e inutile, sebbene paradossalmente essa serva a portare la trama fino alla sua conclusione; ma lo fa in un modo innanzitutto troppo lento, e infatti questo si rivela un film incapace di giustificare del tutto la durata di quasi tre ore, francamente eccessiva. E lo fa anche in un modo che toglie l'attenzione dal conflitto principale e dai personaggi, ben più interessanti, dell'ufficiale inglese e quello giapponese, tra l'altro diminuendone lo spessore.
Da un momento all'altro, Alec Guinness viene posseduto dall'ossessione di finire il ponte per provare la superiorità degli inglesi sui giapponesi, e come un emerito imbecille non gli viene neanche in mente che una cosa simile possa significare dare ai giapponesi un vantaggio enorme contro i suoi stessi compatrioti, al punto che, quando alla fine scopre la miccia che farà saltare il ponte, all'inizio tenta perfino di sabotare tutta l'operazione. Questo cambiamento, così com'è viene fuori dal nulla e invece sarebbe stato molto più interessante e organico se William Holden fosse rimasto nel campo e si fosse creato quindi una crescente ostilità fra i due, un rapporto che mettesse più a nudo le rispettive psicologie. Inoltre, non sarebbe stato molto più teso e soddisfacente se l'intera operazione di sabotaggio del ponte fosse avvenuta fra i prigionieri anziché tirare in ballo l'evasione, l'arrivo alla base americana e l'intero safari nella giungla per tornare al ponte? Avrebbe reso tutto più corto, scorrevole e succinto.
Per fortuna, il film si risolleva con la mezz'ora finale, forse un po' dilatata, ma senz'altro efficace e un crescendo di ansia e tensione da far concorrenza al miglior Hitchcock. Certo, l'impatto della scena viene minimamente diminuito dal pessimo ritmo mantenuto fino a quel momento e dalle divagazioni narrative che sminuiscono lo spessore dei personaggi, e alcuni punti del finale vengono anch'essi trattati con una superficialità imbarazzante;
Alec Guinness che, tutto d'un tratto, rinsavisce come fosse stato pazzo fino a quel momento e con un drammatico: "Che cosa ho fatto?" risolve la situazione distruggendo finalmente il ponte, mi ha fatto ridere più che altro.
ma in sé funziona, e riesce a far finire il film su una nota positiva che mi spinge a sollevare di mezzo voto la valutazione finale. Probabilmente non incontrerò le simpatie di chi considera questo film uno di quei immacolati pezzi di storia del Cinema, ma pur apprezzandone le qualità e riconoscendo l'importanza che ha avuto nell'affermare David Lean a livello internazionale come uno dei maestri del cinema (e quello epico in particolare), ammetto che le falle narrative sono troppe da poterle ignorare. E' comunque intrattenimento più che decente, anche se non penso me lo riguarderò tanto presto.