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BARRIERA INVISIBILE regia di Elia Kazan

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amterme63     7½ / 10  05/12/2011 18:30:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo è senz'altro un film da proiettare nelle scuole.
Il cinema può essere tante cose: spettacolo, emozione, passatempo; nulla vieta che possa essere anche didattico, che possa farci riflettere su aspetti importanti del nostro vivere in comune, come libertà, pregiudizio, impegno civile. Forse mai come certo cinema hollywoodiano degli anni seguenti alla 2a guerra mondiale è riuscito così bene, così perfettamente, a creare un modello di Cinema (con la C maiuscola) che sensibilizzasse verso i problemi cruciali del vivere sociale (penso ad esempio anche ad un film come "Il ragazzo dai capelli verdi").
Il dopoguerra americano fu un periodo molto particolare. Durante il conflitto tante energie democratiche e libertarie erano state stimolate e incoraggiate ad esprimersi su posizioni antinaziste e di sinistra. Finita la guerra e vinto il nazismo, queste energie artistico-intellettuali si rivolsero alla società americana stessa, cercando di mettere in rilievo come stessero covando gli stessi aspetti negativi che avevano portato la società tedesca al disastro.
"Gentlemen's Agreement" appartiene a questa categoria. Lo scopo è quello di rivelare al pubblico cinematografico l'esistenza del pregiudizio razziale anche nella libera e democratica America. Si utilizza qui la forma antisemita (molto diffusa anche negli USA prima della II Guerra Mondiale), ma questo modello in qualche maniera è facilmente estensibile a qualsiasi altra discriminazione che si basa su caratteristiche fisiche, religiose o di comportamento amoroso (come i negri, gli omosessuali, ecc.).
A tal scopo Kazan e la sceneggiatrice utilizzano uno stile rappresentativo già rodato in passato, cioè quello dei film di Capra. Non a caso il protagonista è Gregory Peck, l'interprete di "Meet John Doe", ormai entrato nell'immaginario collettivo americano come il rappresentante dell'americano medio democratico e libertario che si oppone al dominio dei poteri forti. Si ritrae poi una situazione tipica con famiglia virtuosa e operosa, solidarietà che mitiga le difficoltà e infine lo stereotipo dell'amore a prima vista accompagnato da immediato matrimonio (senza tralasciare i tipici tira e molla amorosi).
Gli stereotipi e le tipizzazioni, nonché gli espedienti e le forzature stilistiche, quindi non mancano. Però c'è qualcosa che fa andare questo film fuori della tipicità dell'epoca e lo fa diventare un film universale, valido per tutte le epoche. Quel qualcosa è la dovizia, l'approfondimento, la chiarezza con cui si scava nei meccanismi del pregiudizio. Non ci si limita ai pregiudizi sociali generici, si fa vedere che il pregiudizio si insinua subdolo in tutti noi e in chi ci sta accanto, ce lo portiamo dentro inconsapevoli, ci facciamo l'abitudine. In altre parole si cerca di smascherare l'antipregiudizio di facciata, quello fatto solo di parole. Arrivati ai fatti, per pigrizia, per assuefazione, perché forse il pregiudizio ce lo portiamo inconsciamente dentro, avvalliamo le esclusioni, le diamo per scontate, "chi ci vuoi fare, è così", tolleriamo, non reagiamo per vigliaccheria e amore del quieto vivere.
Questo film lancia il sasso nello stagno e anche se ci sono caratteri fin troppo integerrimi, in qualche maniera ci mostra come si dovrebbe agire: non lasciare andare passivamente, invece reagire a tutto, ma proprio a tutto (anche le battute e le barzellette) che può nascondere razzismo e pregiudizio. Evidentemente si tratta di una guerra che si combatte ogni giorno, al bar, in tram, con i colleghi di lavoro: avere il coraggio di reagire, di rimbeccare, di distaccarsi mentalmente e nettamente da questo genere di persone, a costo di vivere isolati, soli e di essere tacciati di superiorità e antipatia. Ma se si vuole essere coerenti, professare una convinzione intellettuale, bisogna andare fin in fondo.
Anche il finale di "Barriera invisibile" rispetta un po' le convenzioni dell'epoca. In questo tipo di film si finisce sempre con la speranza in un futuro migliore. Oggi appare come retorica ma all'epoca non lo era affatto. Era una sensazione vera, diffusa, una speranza concreta, anche perché c'era la voglia di agire e la convinzione di poter arrivare a qualcosa di nuovo.
Mi ha colpito il discorso della madre malata di cuore nel finale: "voglio vivere ancora, sono curiosa di vedere, forse il XX secolo riuscirà a sradicare i mali della terra e a farci vivere in pace tutti insieme".
Non c'è riuscito ma almeno ci ha provato.
atticus  05/12/2011 21:06:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Come sempre hai fatto un commento esaustivo ed eccellente, solo un errore però: Meet John Doe di Capra era con Gary Cooper ma capisco il lapsus, lui e Peck erano due tipici eroi del sogno americano, facile confondersi ;)
amterme63  05/12/2011 22:41:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Hai ragione, mi sono confuso. Comunque la tipologia del personaggio di Philip è molto simile a quella di John Doe.
Ho letto or ora il giudizio su questo film sul Castoro del 1977. Il film viene liquidato in due parole come "film di scarsa importanza". E' vero che è un film molto verboso, con poca azione. Però a me ha impressionato molto, perché ci ho visto molta Italia di questi nostri anni.
atticus  06/12/2011 00:45:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Devo confessarti che è tra i pochi Kazan che non ho ancora visto, pur avendolo da anni in dvd. Spero di averci a che fare presto per potermi fare un opinione! :)