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LA PAZZA GIOIA regia di Paolo Virzì

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Terry Malloy     6 / 10  11/06/2016 11:47:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Concordo con chi dice che il film perde di equilibrio dopo un po', e Beatrice diviene una sorta di spalla di lusso di Donatella, il cui dramma reale è al centro della scena. Stona invece, quello di Beatrice, donna ondivaga e volubile, instabile, viziata in quanto ricca, incapace di avere quella freddezza calcolatrice e rapace che hanno tutti i ricchi che devono mantenere la posizione privilegiata nella scala sociale. Tuttavia i momenti realmente sublimi di questo film sono dedicati a lei, non a Donatella. Quindi abbiamo un film scisso in due: da una parte il grottesco divertente e liberatorio nel suo classismo ingenuo di Beatrice (peripezie legate ai soldi, come il buon Twain insegna in "L'uomo che corruppe Hadleyburg"), dall'altra il dramma esistenziale di Donatella, in cui Virzì sfoga la sua vena intimista e populista. Ma questo dramma, seppur aiutato dalla bella interpretazione della Ramazzotti, è convenzionale, perde di segno rispetto ai risultati eccellenti del tragicomico beatriciano. Impossibile non sentirsi affrancati dal potere magico dei soldi, sempre contigui al valore sentimentale che a loro assegniamo, della serie "io uso i soldi per fare del bene a chi amo", questa moneta di scambio astratta con cui misuriamo l'affetto. Beatrice usa tutto ciò che è in suo potere (la seduzione, l'arroganza, le doti ladresche, ma soprattutto l'autoinganno) per aiutare l'amica in difficoltà, le permette di vivere in sintonia col mondo sfruttando il suo antico sé ormai distrutto in mille pezzi. Indimenticabili alcune battute ("Siamo costretti a noleggiare la nostra casa al cinema italiano"), che segnalano quasi una perdita d'aureola della classe agiata italiana - quasi che Virzì fosse un cultore, un cantore del fallimento come prospettiva di riscatto cambiata di segno. A questo proposito è la scena iniziale che farebbe gridare al capolavoro. Le classi agiate si prendono cura delle classi disagiate, rivelandosi poi pirandellianamente affette dallo stesso male. Ma già dalla scena dopo il film comincia a zoppicare e le trovate di questo (limitato) road trip [un genere amato dai registi italiani] si avviano sulla china del già visto. Il precedente film di Virzì rifletteva sulle stesse dinamiche, è vero. Il Capitale Umano però aveva un respiro sociologico di ben altra portata, questa è solo una bella storia.