caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

TIGER BOY regia di Gabriele Mainetti

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
ferzbox     8 / 10  21/05/2016 10:10:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il secondo cortometraggio di Mainetti è forse riuscito a farmi capire meglio cosa potrebbe avere di interessante "Lo chiamavano Jeeg robot"(che vedrò in seguito); non tanto per lo spirito dell'opera, convintissimo che sia diversa, ma più che altro per la qualità della sceneggiatura e il modo di lavorare di questo regista.
Come era successo per "Basette" anche "Tiger boy" chiama in causa un famoso personaggio dei cartoni giapponesi; questa volta la citazione è dedicata al mitico "Tiger mask", meglio conosciuto da noi come "Uomo tigre".....
La differenza dal lavoro precedente è che "Tiger boy" non è un omaggio palese come lo fu per Lupin III, ma bensì un semplicissimo richiamo velato per raccontare in realtà la storia drammatica di Matteo, un bambino di 9 anni disadattato ed introverso, poco complice con i suoi coetanei e custode di un terribile segreto che rappresenterà il fulcro di tutto il cortometraggio.
Matteo, come molti bambini solitari,si appoggia ad un personaggio popolare per avere un punto di riferimento, una guida, in questo caso rappresentata dal "Tigre", un lottatore di Wrestling che combatte nei sottoclub della provincia romana, conosciuto per la sua maschera tigrata e con un certo numero di sostenitori e ammiratori.
L'incredibile passione di Matteo, lo porterà a nascondersi costantemente(notte e giorno) dietro alla maschera del suo eroe, facendola diventare una sorta di protezione contro le avversità, uno scudo psicologico in grado di infondere al bambino una certa dose di coraggio e sicurezza.
Ma se per Matteo la maschera rappresenta una forma di sostenimento e determinazione, per tutti gli altri diventa sinonimo di stranezza, un campanello di allarme che preoccupa sia la madre del bimbo che gli insegnanti, i compagni di classe .....ed il preside.....quest'ultimo vera nemesi del ragazzo.
Il tutto è girato con un certo velo autoriale, senza alcuna intenzione di far divertire lo spettatore con scene comiche o brillanti; il tutto è in realtà concepito con lo scopo di raccontare un dramma tremendo dal quale il bambino riuscirà ad uscirne grazie all'aiuto del suo lottatore preferito, creando di fatto un fortissimo racconto dalla grande intensità emotiva.
Mainetti mi ha dimostrato che i personaggi giapponesi che ama omaggiare o citare non sono assolutamente chiamati in causa con banalità o motivi futili, anzi tutto l'opposto.....ed era ora che qualcuno producesse dei lavori validi dimostrando l'incredibile valore che avevano questi cartoni sui ragazzini, a differenza di quello che molti genitori sostenevano anni fa quando la critica verso di essi era assidua e continua perchè portatori di comportamenti violenti e diseducativi....
L'ironia non manca, anche se solo accennata, ma Mainetti la utilizza inserendola soltanto in alcuni dialoghi dove l'accento romano e la reazione spontanea di alcuni personaggi diventa inevitabilmente divertente.
Un lavoro che mi ha lasciato davvero di stucco, sopratutto nel bellissimo finale capace di dimostrare quanto questo regista sia capace di creare qualcosa di davvero stilistico e profondo......questo è uno che ci sa fare di brutto.....e non stento a credere all'ottima qualità de "Lo chiamavano Jeeg robot".....qui non parliamo di un cazzòne, ma di uno che sa MOLTO BENE quello che fa......