Alpagueur 6½ / 10 25/11/2020 17:46:01 » Rispondi Un tributo visivamente sbalorditivo a uno dei miei generi preferiti nella storia del cinema, ma non è il ritorno del giallo. Questo è un altro film d'arte che è un omaggio al genere piuttosto che un "nuovo" giallo, molto simile ad "Amer" (2009) di Bruno Forzani. L'intero film è girato in soggettiva (pov) e non per un secondo ci offre una ripresa convenzionale, la telecamera è in costante movimento, dando uno sguardo a mano che a volte non mostra altro che il pavimento. Certo, riempie ogni secondo di immagini deliranti giallesche, ma vorrei che qualcuno là fuori mi chiamasse un vero giallo dei tempi che non è altro che questo. Non lo erano, erano meravigliosi misteri di omicidi, pieni di colpi di scena, in uno stile tutto particolare. Come omaggio è meraviglioso, ma come giallo autentico non lo è. Il tema è azzeccato, l'ambientazione degli anni '70 e gli effetti della vecchia scuola costituiscono un valore aggiunto alla sua autenticità. Ma quello che abbiamo qui è qualcosa di simile a un album rock in cui ogni traccia è composta esclusivamente da assoli di chitarra solista, non è una brutta cosa ma non c'è una struttura completa della canzone. Spero che questo spieghi quello che sto cercando di dire qui. Il dialogo è minimo, ma lo è anche l'intera trama. Siamo intrattenuti da una colonna sonora che funziona perfettamente con le immagini sullo schermo, e gli score della (dolce) nenia infantile sono piuttosto interessanti. Certo non abbiamo il magico trio (Nicolai/Morricone/Cipriani) di "Amer" o il Simonetti di "Profondo rosso", "Tenebre" o "Morirai a mezzanotte", però la passeggiata di Francesca nel parco con quella melodia in backgroud è lo stesso inquietante nonostante Luciano Onetti non appartenga al gotha dei grandi compositori cinematografici. Per quanto riguarda la trama, abbiamo un assassino con guanti neri (indossati sempre, ad eccezione di una o due scene) che soffre di un trauma infantile. Si vede l'assassino perseguitare e uccidere una giovane donna molto sexy solo per tornare a casa e scoprire che qualcuno ha assistito a questo atto. L'assassino riceve una serie di foto dell'atto con un numero di telefono. Quando chiama il numero, gli risponde una persona con la voce contraffatta che gli domanda il perchè abbia commesso quell'omicidio e che poi minaccia di ucciderlo. Questo avrebbe dovuto preparare la scena per un fantastico gioco del gatto e del topo tra i due, ma dopo un breve confronto veniamo gettati in tonnellate di immagini surreali che portano al finale spiazzante. Non un finale poco intelligente, intendiamoci, ma certamente non originale. Un lavoro meticoloso dunque questo effettuato da Luciano Onetti, che ha rispolverato film cult del passato riproponendoci lo stesso modus operandi del killer, le riprese in soggettiva, gli elementi classici di ossessione argentiani (bambole, album, disegni, coltelli, rasoi) ed una fotografia retrò che contribuisce ad imprime a Sonno Profondo un certo alone 'vintage'. Guardando il film infatti si ha come l'impressione di visionare una pellicola in pieno stile anni '70, merito anche dell'eccellente colonna sonora (a cura dello stesso Luciano Onetti) che impreziosisce la pellicola e che ne diventa la colonna vertebrale. Una musica potente, trascinante e avvolgente infatti è la componente che dà spessore a questo film argentino. Apprezzabili gli shot degli omicidi, come quello già citato della 'studentessa' Francesca al parco o della 'prostituta' Monica nel suo appartamento (ovvi i richiami a "Profondo rosso" e "Quattro mosche di velluto grigio" qua, così come a "Tenebre" e "L'uccello dalle piume di cristallo" per le sequenze il cui l'assassino sfoglia un libro e l'album dei ricordi), sebbene una maggiore ferocia avrebbe migliorato certamente il risultato visivo/emotivo finale. Essendo un low budget, Luciano Onetti (regista argentino e argentiano dichiarato), si è dovuto occupare di tutto (regia, soggetto, fotografia, musiche), solamente la produzione è stata appannaggio del fratello Nicolas. "Sonno Profondo" è stato girato interamente in lingua italiana e la sua durata è di poco più di un' ora. Nel cast compare anche il regista, Luciano Onetti, nel ruolo dell'assassino (e di Franco Mele), mentre Francesca Mele e Monica Mele sono interpretate rispettivamente da Daiana García e Silvia Duhalde (che hanno partecipato anche alla stesura della sceneggiatura). Il film ha ottenuto comunque dei riconoscimenti...nel 2013 ha ricevuto premi tra cui quello come Miglior Film all'Hemoglozine, Miglior Film Straniero all'Horrorquest e Miglior Musica al Tabloid Witch Awards. Se sei un grande fan del genere giallo, come il sottoscritto, allora sicuramente trarrai giovamento dalla visione di questo film (che è anche il primo del regista argentino), te lo puoi tranquillamente godere nonostante le esagerazioni. Tuttavia, ti avverto che dovrai fare affidamento a tutte le tue risorse mentali per dare un senso compiuto al finale e incastrare le date. L'ho comunque preferito a "Francesca", che uscirà due anni dopo (ospedali, incidenti stradali et similia sono elementi che mi piacciono molto nei gialli). Il plot è ambientato a Locri (RC), con gli esterni dell'ospedale e nel cimitero.
Ripropongo gli stessi quesiti che avevo fatta a suo tempo (che non ottennero risposta), sperando in una miglior sorte: il film è abbastanza interessante (sicuramente più di Francesca del 2015, sempre dello stesso regista), al di la dei continui e ossessivi riferimenti al thriller argentiano (bambole, collane, rasoi, disegni naif, inquadrature in soggettiva al limite del mal di testa, particolari dell'iride e delle labbra rosse carnose -e qui mi viene in mente la prostituta di Nonhosonno- e via dicendo) la fine è troppo sfumata (che in un giallo non va sempre bene), anche se è l'unica plausibile a quel punto, per 2 semplici motivi: primo, non si capisce bene il grado di parentela tra Franco, Francesca e Monica (si suppone Monica la madre infermiera e gli altri due fratello e sorella, però la differenza di età tra i due non è concesso saperla), secondo, quando Francesca è morta aveva 26 anni (1956-1978) per cui cosa ci facevano in macchina quelle bambole? si può intuire che l'incidente sia stato causato FORSE (la strada era a due corsie a doppio senso di marcia e stretta) da Franco alla guida dell'auto e che lui e la madre siano sopravvissuti (la madre con la gola rotta, costretta ad un microfono per correggere la disfonia spasmodica), ma questo è sufficiente a mettere in moto la vendetta della donna nei confronti del figlio (l'unico rimastole a quel punto)? Mi sembra abbastanza forzata come dinamica…inoltre la scena iniziale non è ben collegabile all'epilogo. Tralasciando ovviamente il format di "Allucinazione perversa" di Lyne e "Shadow" di Zampaglione, che però avevano un loro perchè in quanto al risveglio dal coma si chiariva tutto, qui invece restano troppe sfumature, che contribuiscono a dare un tono meno drammatico alla vicenda rispetto ai due film a cui il finale di questo film si è chiaramente ispirato. Comunque il tentativo di Onetti è apprezzabile, mi è piaciuta l'assonanza numero di telefono/targa della macchina e le parole sussurrate "Franco...Franco..." che si sono sentite improvvisamente ed inspiegabilmente durante le sequenze e che, con quell'epilogo, hanno avuto un significato concreto.