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IL CASO SPOTLIGHT regia di Tom McCarthy

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Mauro@Lanari     8½ / 10  31/12/2023 01:00:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Il film di McCarthy è un marchingegno funzionante pressoché alla perfezione. Non gli manca nulla di ciò che rende d'alto livello un prodotto cinematografico: scrittura e recitazione di prim'ordin'e un cast eccezionale non solo per i nomi ma per le performance ver'e proprie." Tuttavia "Spotlight [è] l'ennesima storia d'eroi che sfidano l'ambiente circostante, con tanto di ricamino finale sulla cosiddetta colpa condivisa: la colpa è pure nostra ch'abbiamo girato la test'altrove… ma tenetevi a distanza perché noi restiamo migliori di voi. Un argomentare che lascia il tempo che trova" (Antonio Maria Abate, cineblog.it). Lascia il tempo che trova pure tal'obiezione. Ribadendo come la pellicola dal taglio classicissimo riesc'a far scorrere con incredibile fluidità i suoi 128 minuti, c'è da precisare che il Pakula del '76 era un pean'a favore del giornalismo d'inchiesta, i più recenti "Kill the Messenger" (Cuesta 2014) e "Shock and Awe" (Reiner 2018) ci mostravano dei "beautiful loser" che combattevano il sistem'a cui erano affiliat'i loro stessi colleghi della stampa, e McCarthy si spinge persino più in là, a un 3° livello di disincanto, smorzando i trionfalismi e ammettendo ch'il sistema fagocita chiunque. Più che dare grande spazio e tempo alla pedofilia dei sacerdoti avallata o insabbiata o approvata dalla Chiesa, indaga i reporter investigativi, segue le dinamiche personali della redazione d'assalto, mantiene un basso profilo per evitare ton'inorriditi, condanne unilaterali, esaltazioni di presunti protagonisti senza macchia. 4 film su 3 Pulitzer e ½, però il cuore di "Spotlight" si trova in poche linee di dialogo riguardant'il Walter 'Robby' Robinson di Michael Keaton: "E tu?"; "Io dov'ero?"; "Era l'allenatore della nostra squadra d'hockey"; "Noi dov'eravamo? Avevamo ricevuto il materiale necessario già anni fa e io lo cestinai". Al regista interessa scavare più dentr'il team di giornalisti ch'al di fuori, denunciando la connivenza e collusione, appunto sistemica e sistematica, volontaria o meno, d'ognuno di noi senz'eccezioni. L'inebetito sbigottimento che man mano si palesa fra i redattori è dovuto alla presa di coscienza del loro coinvolgimento nello scandalo per averlo ignorato col prestar'attenzione sempre ad altre notizie. Così McCarthy applic'a questo filone cinematografico l'autocritica evangelica tra la propria trav'e la pagliuzz'altrui e ciò è appena il preambolo d'una nuova linea di fuoco, tra la pedofilia familiare (e dunque incestuosa) e l'associazioni che dal PNVD olandese al NAMBLA statunitense sono favorevoli alla depenalizzazione del reato sulla base della completa rimessa in discussione dell'erotismo e della sessualità infantil'e adulta (https://www.francoangeli.it/Riviste/Scheda_Rivista.aspx?idArticolo=31417). Insomma: la redazione del "Boston Globe" ci rappresenta tutti quanti con squisita finezza e raffinatezza, c'interpella con un'intelligenza lucida e rara. Soderbergh ha girato almen'un paio di film sul tema dell'autoinganno e della deresponsabizzazione decettiva, "Bubble" (2005) e "The Informant!" (2009). McCarthy sarebbe potuto essere molto più esplicito e diretto, ma poi pubblico e critica com'avrebbero reagito?