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KURT COBAIN: MONTAGE OF HECK regia di Brett Morgen

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     7 / 10  29/04/2015 13:26:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una carrozzina guadagna con fatica il palco, di fronte ad esso una folla in strepitante attesa. Nelle vesti del falso paraplegico c'è un uomo dal volto folle, con parrucca e camice da ospedale: trattasi di Kurt Cobain, corre l'anno 1992, siamo a Reading ed i Nirvana sono diventati grandi.
Con questo giocoso gesto il cantante/chitarrista sembra quasi camuffarsi per sottrarsi a quel successo agognato ma per cui prova anche ribrezzo e timore, in un'antitesi che tornerà più volte nel corso della sua breve vita.
Insieme al bassista Krist Novoselic e al batterista Dave Grohl, Cobain fu genio rivoluzionario capace di abbattere etichette e confini musicali, di fondere l'hard e il punk con maestria ora melodica ora rasentante il noise, per sfociare in una corrente espressiva dai più definita grunge ma che in fin dei conti è solo rock, un fottutamente grandioso, trascinante, allucinato rock.
Il biopic di Brett Morgen ha un solo difetto, quello di cercare risposte dove forse non ce ne sono. L'iter di Kurt su questa terra, durato 27 anni fino a quel colpo di fucile con cui mise la parola fine, è un continuo sali e scendi sull'altalena della depressione, dell'emarginazione, del non sentirsi adeguato e del dover eccellere a tutti i costi dopo aver vissuto un 'infanzia in cui il rifiuto e il vilipendio diventano la costante. Il segmento inerente i primi anni di vita del frontman è sicuramente il più interessante e toccante; il ragazzo viene scaricato un po' da tutti in quanto di non facile carattere, il divorzio dei genitori pesa come un macigno mentre il suo talento cresce incanalandosi in una dimensione anarchica, solitaria, in estrema controtendenza verso il "fuori". La musica è il mezzo per imprigionare quel flusso di idee in costante fermento, mentre paranoie e amarezze si alleviano tra le corde della chitarra.
Nell' 87 insieme a Novoselic forma i Nirvana (Grohl arriverà tre anni dopo). Da Aberdeen, stato di Washington, alla conquista del mondo il passo non è poi così lungo.
Il documentario si segnala per un montaggio iperbolico, rabbioso, psichedelico, in linea con l'iperattività dell'artista. Vecchi video di famiglia, i primi live, registrazioni audio, disegni, appunti, fotografie, stralci di diari si avvicendano sullo schermo a formare un patchwork spiazzante eppure non privo di logica.
Lo stile sopra le righe è spesso irruento, in simbiosi con i riff più abrasivi dei vari brani, alcuni passati alla storia e altri meno conosciuti almeno al neofita.
Le note grezze ma aggressive di "Bleach" (primo lavoro in studio) lasciano spazio a quelle eterne di "Nevermind", album della consacrazione cui fece seguito il meno diretto ma altrettanto eccezionale "In utero". Ovvero il canto del cigno di una carriera durante la quale il magico trio incendiò palazzetti, arene e stadi di tutto il mondo, con Kurt scisso tra felicità, paura, tristezza, euforia e la persistente avversione alla fama. Le contraddizioni del personaggio vengono ben centrate, la musica è del resto il suo specchio plusvalente in cui dolcezza, dolore, ironia e furore si fondono.
Giungono poi gli anni dell'eroina e della relazione con Courtney Love, ingombrante presenza anche in questa sede, in qualità di produttrice si permette l'inevitabile ed esibizionistico amarcord. Momenti rubati da un'invadente videocamera in cui sostanze stupefacenti e vita domestica scorrono sino al concepimento di Frances Bean, usata immediatamente come grimaldello dai mass media per penetrare l'intimità dei coniugi non certo dediti a vita morigerata.
Nemmeno l'eccentrico amore della ex leader delle Hole e quello smisurato per la figlia cambiano le carte in tavola, Cobain continua a flirtare con la morte, presenza poderosa, compagna onnipresente in continua combutta con la depressione pronta a sferrare quel colpo di grazia ormai divenuto storia.
Morgen afferra solo a tratti le sfaccettature di una personalità insondabile, tenta di fornire risposte come un novello psicoanalista pagando dazio con sequenze prolisse sino ad un risultato non proprio soddisfacente. E' parziale la dose di disagio messa in luce e sviscerata a dovere. Capire Cobain è pura utopia, seppur dell'artista venga restituito un ritratto inedito e umano. Genuinamente si offre al mondo senza sotterfugi, cantore di adolescenze border-line di cui è indiscusso principe, per poi ritrarsi quando compreso che l'essere idolatrato non è la cura, bensì l'aggravio dei suoi mali.
Le parole degli intervistati che l'hanno conosciuto e amato restano prigioniere di un inferno misterioso in cui è permesso solo sbirciare, come se Kurt, conscio del suo fardello, volesse nasconderlo agli altri, per evitare di essere ancora giudicato oppure per proteggere chi aveva deciso di accettarlo per com'era.
Mentre i titoli di coda scorrono meglio godersi il suo lascito senza troppo rimuginare; che pogo sia per l'ennesima volta sulla grandiosa Smells like teen spirit.
hghgg  29/04/2015 13:43:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non mi interessa vederlo. Comunque continuo a ritenere proprio "Bleach" il loro capolavoro, anche "In Utero" è molto bello così come la raccolta di b-sides "Incesticide" (senza contare i live e l'Unplugged). Ma "Nevermind"... Ha quel suono così finto e così patinato che rovina anche le canzoni buone (non tutte ma ci sono) presenti nel disco, è proprio la produzione e il suono che detesto di quel disco che di per se non è brutto; e non è brutto nemmeno così ma mi lascia del tutto indifferente. "Smells Like Teen Spirit" ha un po' scasato la mincia però :D
Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  29/04/2015 16:55:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eh, cosa ci vuoi fare, sono un nostalgico di vecchia data che ha avuto la fortuna di vederli tre volte dal vivo. Hai ragione su Nevermind, suono pulito, ma live ti assicuro che tornavano ad essere sporchi come non mai. Inoltre per me resta il loro top album anche se indubbiamente a livello di produzione si perde il tocco "punk". Del resto erano passati alla Geffen una casa che mirava al guadagno, non certo a vendere qualche centinaio di copie ;)
hghgg  30/04/2015 10:13:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si però "In Utero" come suono è tutta un'altra cosa ed è un gran bel disco, non per niente prodotto se non sbaglio da quel Genio del suono che è Albini. Mi è sempre piaciuto il fatto che dopo la commercializzazione di "Nevermind" si siano re-ingrezzati ma con un suono comunque più maturo ed evoluto rispetto a "Bleach". Cobain non era un genio ma era un autore serio e capace (e con una mente musicale aperta alle esperienze più disparate, persino quell'immane esempio di Musica Totale che è "Red" dei King Crimson era tra i suoi dischi preferiti) mi spiace che qualche ascoltatore "alternative" li snobbi proprio a causa di "Nevermind".

Che ripeto non è brutto tuttavia mi lascia davvero freddo e indifferente.

Live ovviamente era un'altra storia, ma si sente anche su disco tipo il Live at Reading (credo...).