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IL FANTASMA DELLA LIBERTA' regia di Luis Buñuel

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kafka62     7 / 10  07/04/2018 11:00:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sei persone appartenenti alla haute bourgeoisie si riuniscono una sera per cenare insieme (è uno dei leit motiv più frequenti nel cinema di Buñuel), ma, giunto il momento di mettersi a tavola, anziché sedersi su normali sedie, si accomodano con estrema naturalezza su altrettanti water closet. Nel corso di questa defecazione rituale si parla di rifiuti tossici, di escrementi umani, mentre appare quanto mai sconveniente (come vien fatto notare alla bambina) pronunciare la parola "fame" o "cibo". Per mangiare, i convitati sono costretti a ritirarsi in uno stanzino dove, chiusa a chiave la porta alle loro spalle, possono finalmente dar libero sfogo ai loro appetiti gastronomici. Più avanti, i coniugi Legendre ricevono l'annuncio che la loro bambina è scomparsa. Si perlustra la scuola, si interrogano i testimoni, viene fatta intervenire la gendarmeria, ma a nulla vale il fatto che la piccola è proprio lì, davanti agli occhi di tutti, genitori compresi, e anzi viene invitata dal commissario a fornire le proprie generalità e a mostrarsi ai poliziotti per facilitare le attività di ricerca.
In questi illuminanti episodi sono rinvenibili i due principi strutturali che presiedono alla costruzione de "Il fantasma della libertà". Da una parte si assiste infatti al capovolgimento assurdo di situazioni normali: il gabinetto che prende il posto della stanza da pranzo, e viceversa, oppure le immagini dei più famosi monumenti parigini giudicate alla stregua di fotografie pornografiche. Dall'altra, invece, c'è l'inserimento in un contesto narrativo apparentemente normale di elementi che contraddicono quello che stiamo vedendo sullo schermo: la bambina è scomparsa, ma tutti hanno modo di vederla e di interloquire con lei; il poeta-assassino, che spara sulla folla con un fucile di precisione dall'alto di un grattacielo, viene condannato a morte, ma dopo la sentenza esce dall'aula del tribunale tra strette di mano e richieste ammirate di autografi. A tutto ciò si deve aggiungere la presenza nel corso del film di numerosi elementi dissonanti, anche se non necessariamente assurdi: i frati giocano a poker con santini e scapolari al posto delle fiches, la sorella del questore suona il pianoforte completamente nuda, le lancette dell'orologio di Foucauld avanzano con una velocità innaturale, i soldati cacciano la volpe con un carro armato, e così via.
Fedele alla sua natura di poeta anarchico e surrealista, Buñuel prosegue lungo la strada già tracciata da film come "La via lattea" o "Il fascino discreto della borghesia". Al pari di questi, "Il fantasma della libertà" non ha una struttura unitaria, ma è formato da brevi sketch legati tra loro da labili pretesti narrativi, e soprattutto è percorso da una vena sardonica e iconoclasta, al tempo stesso anti-borghese, anti-religiosa e anti-istituzionale. Borghesi, commissari di polizia, notabili e preti sono come sempre i personaggi preferiti del regista, il quale si diverte a metterli alla berlina in maniera lucidamente impietosa ed irridente.
Rispetto ai film precedenti, si può piuttosto rilevare come "Il fantasma della libertà" porti alle estreme conseguenze una concezione centrifuga della trama e del racconto. Il film infatti si snoda orizzontalmente, senza alcuna progressione narrativa, con lo stesso principio che regola il gioco del domino. Così, ad esempio, mentre Foucauld parla al dottore dei suoi strani incubi notturni, entra nello studio un'infermiera che chiama a sé quest'ultimo per una comunicazione urgente, e da questo momento in poi è lei a diventare il motore della storia; quando poi, dopo la notte trascorsa alla locanda, la donna offre un passaggio nella sua auto a un personaggio conosciuto da appena pochi minuti, la macchina da presa abbandona completamente la prima al suo destino per seguire invece quest'ultimo, e così via fino alla fine, dove – nonostante tutto – il cerchio si chiude con la manifestazione studentesca allo zoo e lo slogan "Viva le catene!", che riprende alla lettera le parole pronunciate dai patrioti spagnoli fucilati nel prologo dall'esercito francese. Con tale metodo, Buñuel frustra in continuazione il desiderio dello spettatore di "sapere come va a finire": non diversamente dalla scatoletta del cinese in "Bella di giorno" o del sogno del treno ne "Il fascino discreto della borghesia", ne "Il fantasma della libertà" non riusciamo mai a scoprire ciò che è scritto nella lettera recapitata nottetempo a Foucauld o quale strano fatto è accaduto a Lisieux, in quanto il regista opera continui e improvvisi scarti, prendendo nuove e inaspettate direzioni. Come conseguenza di ciò, ogni episodio non è legato a quello che lo precede da un principio di causa a effetto, e neppure è il riflesso di una casualità assoluta e onnipotente (anche laddove – è il caso della sequenza nella locanda – i destini umani sembrano incrociarsi con cadenze alla Feydeau), ma il succedersi indifferenziato delle varie vicende (tutte ugualmente interessanti e tutte diegeticamente inutili) è a ben guardare preordinato piuttosto al disvelamento di una morale cripticamente nascosta dietro il disfacimento della logica del reale.
Se "Il fascino discreto della borghesia" era caratterizzato da un simbolismo che altro non chiedeva se non di essere preso alla lettera, qui il capovolgimento delle apparenze è assai più disorientante. Nella scena dei gabinetti, ad esempio, cosa vuole dire esattamente Buñuel? Che i riti agapici della borghesia sono – tout court – delle disgustose defecazioni collettive? oppure il nonsense mira più semplicemente a incrinare la solida e radicata fiducia nei principi della convivenza sociale? A mio parere, l'unica risposta è che il ribaltamento del senso è solo apparente, in quanto Buñuel invita lo spettatore a riflettere sul fatto che forse il vero, autentico aspetto della realtà è proprio quello rovesciato. Dietro il sorriso (o il ghigno) il discorso è, come sempre, politico: la libertà del titolo è costantemente violata, il disordine è spacciato per ordine, il disfacimento morale per salutare conservazione del sistema sociale. Il bersaglio è ancora una volta centrato dal vecchio maestro, anche se, a dire la verità, la limpidezza metaforica de "Il fascino discreto della borghesia" appare lontana, l'effetto di dépaysement rende l'assunto alquanto ambiguo e difficilmente decifrabile, e il film si avvicina a tratti più al nonsense delle pellicole della ditta Zucker-Abrahams (pur senza – è ovvio – la loro disimpegnata e goliardica innocuità) che a un'opera dalle chiare e consapevoli finalità dissacratorie (forse a causa della mancanza di personaggi-guida con un maggiore valore emblematico, o anche dell'ampiezza stessa del tema affrontato).