Anche il cinema d'autore purtroppo cade nelle sciocchezze, e "White God" ne è la prova. Parte alla grande con una scena fantastica, talmente bella che non vedi l'ora che si ripresenti visto che si tratta di un flashforward, e invece è proprio quando accade che inizieranno i veri problemi del film. Da quel momento si assiste a una ridicola vendetta a tinte horror, piena di cliché, veramente deleteria e ingiustificabile, che distrugge parte del castello costruito in precedenza. Ahimé, risente di questo anche lo splendido finale che, fosse arrivato con un percorso diverso, avrebbe coronato il film come piccolo gioiello, e l'ultima (magnifica) inquadratura sarebbe diventata l'icona della stagione cinematografia corrente. Ma non è così. Per colpa di quei minuti i significati metaforici, le critiche sociali, il Dio bianco, le denuce animaliste all'uomo dominatore, la rabbia che genera rabbia, la musica come linguaggio universale, tutto si ridimensiona perché macchiato, non più puro. Ciò che rimane sempre immenso è l'impressionante lavoro dell'addestramento dei cani, capeggiati da Hagen e dalla sua espressività che sfida le leggi della comprensione.