caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

LA FONTANA DELLA VERGINE regia di Ingmar Bergman

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
amterme63     7½ / 10  13/11/2010 17:38:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Con questo film Bergman ritorna ad ambientare le sue storie nel Medioevo. Se però nel "Settimo sigillo" il Medioevo era un semplice sfondo per argomenti universali, qui il medioevo diventa sostanza, permea qualsiasi aspetto del film. Diventa quindi più difficile ricavare spunti e riflessioni che possano direttamente coinvolgerci. Finisce che quest'opera si fa apprezzare soprattutto per la messiscena e lo svolgimento delle due scene clou del film, cioè quella dello stupro e quella della vendetta.
Per apprezzare appieno questo film bisogna quindi fare opera di estraneamento e considerazione oggettiva dei vari aspetti del film. La prima cosa che ho apprezzato è la ricostruzione materiale e spirituale del Medioevo scandinavo. La scenografia (la casa, la tavola, i letti, i cibi) è veramente perfetta e suggestiva. La storia si concentra su di un unico nucleo familiare, tralasciando i villaggi e la società. Rende in questa maniera benissimo l'idea di isolamento, di autosufficienza, di essere sperduti in un mondo vasto, distante, pericoloso, sconosciuto, ostile e inquietante che permea tutte le testimonianze dirette che ci sono giunte da quel periodo.
L'appoggio del sovrannaturale diventa di conseguenza determinante, in un mondo in cui l'uomo non si sente forte abbastanza da poterlo dominare con le sole proprie forze spirituali. "Dìo" diventa così una specie di garante di norme e consuetudini che cementano la convivenza umana. Non mancano spinte contrarie e distruttive. Chi è in qualche maniera estraneo o tenuto ai margini, o non tiene conto di alcuna etica (tipo i due pastori/stupratori/assassini) oppure si affida ad una alternativa di natura "sovversiva" (il culto arcaico e misterioso di Odino).
Lo scontro fra etica e anti-etica produce "crepe" o dubbi in chi si affida alla forza divina e "giusta" di Dìo. Nel finale si esprime chiaramente "incomprensione" (più che dubbio) su come Dìo esprime la sua presenza e la sua legge nel mondo umano. Il "miracolo" finale in qualche maniera serve da "risposta". Lo si può interpretare in tante maniere. La mia è che evidentemente la morte è solo un episodio di un flusso vitale che è sempre continuo e sempre presente. Si tratta comunque di un altro aspetto della continua e intensa ricerca di Bergman di dare forma alla sostanza e alla presenza del Divino sulla Terra (sempre che questo esista).
Il film ha un ritmo molto lento, fra i più lenti che abbia mai visto. Certamente mette alla prova lo spettatore moderno, d'altra parte il ritmo lento è essenziale al film, in quanto riproduce perfettamente i tempi dilatati di quelle epoche lontane. La lentezza diventa poi sostanza filmica potentissima nelle scene clou dello stupro e della vendetta. L'attesa e l'infinita preparazione rendono l'avvenimento dirompente. Non c'è che dire, Bergman aveva una splendida dote naturale nell'inscenare nella maniera più efficace possibile gli avvenimenti. Nel suo stile sono atti riportati nella loro valenza spirituale/interiore, piuttosto che nel loro violento svolgersi (come avviene in genere nei film americani).
La recitazione è piuttosto ieratica e trattenuta. Max von Sydow non mi ha convinto molto. Anche qui c'è il solito personaggio che declama testi poetico-esistenzialisti-visionari, ma è un po' fuori contesto rispetto a film precedenti.
Bel film ma è uno di quelli di Bergman che non mi ha soddisfatto completamente.