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LA FONTANA DELLA VERGINE regia di Ingmar Bergman

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  20/07/2008 12:25:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dopo "Il settimo sigillo", Bergman "torna" nel Medioevo; e lo fa con una storia che si configura per certi aspetti quasi fiabesca (con un rimando alla favola di Cappuccetto Rosso) e per altri agghiacciante, avendo ad oggetto lo stupro di una ragazzina ed un infanticidio (e per l'epoca ciò destò scalpore, tanto che il film fu censurato nelle scene più crude). Il regista svedese, dunque, “gioca” sul contrasto tra la purezza e l’innocenza che connotano il periodo dell’infanzia, da un lato, e la efferatezza e la malvagità dell’uomo adulto dall’altro, trovando queste ultime il terreno più fertile durante l’epoca –per antonomasia- più crudele: quella medievale appunto. Tale dicotomia si riflette anche dal punto di vista strutturale, in quanto il film si divide in due antinomiche parti: alla prima, in cui vengono mostrate la gaiezza e la spensieratezza della fanciulla, segue un’altra incentrata, invece, tutta sulla violenza, nella quale si mette in scena una sorta di spirale che principia con lo stupro e l’assassinio della ragazzina per poi proseguire con la sanguinolenta vendetta del padre fino a culminare con la terribile uccisione di un innocente bambino. Di fronte a questi ineffabili delitti che, proprio perché perpetrati a danno dei soggetti più indifesi dell’umanità, assurgono a misfatti insopportabili e inaccettabili, prende corpo l’annosa domanda che dalla notte dei tempi affligge l’uomo: perché Dio accondiscende a simili scempi? Li tollera e ne permette la commissione senza fare niente per fermarli? La (non)risposta viene da un rivolo che dal suolo, su cui giaceva la fanciulla esanime e martoriata, comincia sorprendentemente a sgorgare. E’ il pianto di un Dio impotente o, più drammaticamente, il segno di un Dio che si prende beffe di noi e delle nostre vite? Tale evento, a prescindere dai significati che gli si possono ascrivere, ammantando di ambiguità la vicenda narrata si erge a simbolo universale della condizione dell’uomo: da secoli diviso tra il realismo più crudo e la tensione (necessaria) al divino cui far risalire le ragioni delle proprie pene.