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STALAG 17 - L'INFERNO DEI VIVI regia di Billy Wilder

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amterme63     7½ / 10  11/02/2012 23:22:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un destino accomuna Wilder con Hitchcock: la coscienza di essere abili artefici cinematografici di storie ed emozioni. Ed è questa orgogliosa coscienza che diviene la molla, quasi la causa, di tutta la loro produzione dagli anni '50 in poi. Le regole classiche vengono accettate, rispettate alla lettera, ma allo stesso tempo intezionalmente si afferma la superiorità dell'autore rispetto alle regole: queste esistono e hanno valore solo grazie al mestiere e alla capacità del regista. I film degli anni '50 di Wilder e Hitchcock risaltano appunto per la finissima manipolazione formale, stilistica e visiva che finisce per costituirne la sostanza.
"Stalag 17" è un lavoro di consapevole (e ardita) contaminazione di stili fra il film di guerra e la commedia. La sintesi è raggiunta positivamente da Wilder grazie all'abile uso dell'ironia. Già il discorso che fa la voce off all'inizio del film contiene lo spirito dell'opera: ci si lamenta che i film di guerra siano tutti uguali, tutti eroici, tutti pieni di grandi imprese, nessuno che si occupi di piccole storie, di avvenimenti spiccioli, come la vita e la permanenza in un campo di prigionia. Ecco quindi che il discorso si porta direttamente e scopertamente dentro il campo della rappresentazione cinematografica stessa. Fin dall'inizio si fa cosciente lo spettatore che il film è una consapevole operazione stilistica e come tale (come prodotto artistico di intrattenimento) va visto.
Ed è a questo punto che l'ironia si mette al lavoro. Una situazione che si immagina tragica, terribile, straziante, viene ricondotta a burla, a operetta. I nazisti sono quelli più colpiti dalla deformazione ironica: dallo stereotipo di gente crudele, astuta e luciferina diventano vanitosi, ridicoli, delle caricature. In pratica si anticipa il fumetto Sturmtruppen. Wilder quindi non è stato particolarmente cattivo nei loro confronti, li tratta con condiscedenza e divertito distacco, come dei babbei che giocano a fare i carnefici.
Ma l'ironia non risparmia nemmeno gli americani. Ciò che viene messo alla berlina è il facile trionfalismo, l'eroismo ostentato e retorico, l'ingenuità e la faciloneria di chi si vanta di imprese. Il meccanismo dei film di guerra viene quindi rovesciato: sono i disfattisti a fare bella figura, mentre l'ostentazione di eroismo è svalutata.
Il grande regista classico consapevole di sé manovra i meccanismi ma rispetta gli effetti. Anche in questo film il regista gioca ad arte soprattutto per creare tensione, partecipazione nello spettatore nei confronti della risoluzione di un dilemma. Si parte come al solito da una falsa evidenza, si insinua il dubbio e alla fine si scopre il gioco sorprendendo positivamente lo spettatore.
Anche in questo film si combatte la nobilissima battaglia dei film classici contro i pregiudizi, le facili impressioni e il dominio della apparenze.
Anche in questo film si rappresenta la dicotomia americana fra frugalità, puritanesimo, purezza di ideali da una parte e opportunismo, iniziativa privata, cinismo dall'altra (vedi anche "East of Eden" di Kazan). Come sempre la simpatia di Wilder va al lato meno nobile e più consumistico, quello dell'America godereccia (come dimostreranno poi le "ciniche" commedie successive).
Anche in questo film si cerca una sintesi finale, nel nome del comune legame fideistico al concetto di Nazione Americana (dando ipocritamente al "traditore" una nazionalità non americana).
Peccato che la parte comica sia a volte sovrabbondante, fin troppo distaccata ed estranea al resto della storia, legata agli stereotipi dell'epoca, semplicistica e alla fin fine quasi noiosa e fastidiosa.