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DOVE SOGNANO LE FORMICHE VERDI regia di Werner Herzog

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amterme63     7 / 10  05/07/2008 23:16:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E’ il primo film di Herzog che vedo che non mi ha pienamente convinto. Ho quasi l’impressione che stavolta Herzog non sia riuscito a dare forza e convincimento alle sue teorie, ai suoi pensieri tramite le immagini. Si ha come la sensazione che il messaggio sia calato dall’alto. Sfuggono molti passaggi nello sviluppo psicologico dei personaggi, soprattutto dell’ingegnere minerario, il punto di riferimento del film.
Si parla di una multinazionale che vuole fare sondaggi per la ricerca dell’uranio in mezzo al deserto australiano. Un gruppo di aborigeni si oppone, in quanto quello è un loro territorio sacro. La questione approda alla Corte Suprema australiana, la quale dà torto agli aborigeni: un altro tassello verso la loro scomparsa fisica e culturale. Alcuni occidentali però “aprono gli occhi” e decidono che è meglio vivere come gli aborigeni se si vuole salvare il mondo.
Le prime scene del film presentano l’ambiente in cui si svolge la storia: una landa desolata punteggiata dai termitai delle formiche verdi. Questa parte del film richiama volutamente “Fata Morgana”. Poi inizia la solita storia con trama “a strappi”, tipica di Herzog. Un giovane ingegnere minerario è eccitato perché dopo mesi di lavoro sta per verificare se c’è dell’uranio sottoterra. Questi disegni “razionali” sono intralciati da mire “sentimentali” (una vecchia che cerca il cane smarrito) e dalla presenza di altre culture che non vogliono cedere e sparire. Il mondo aborigeno è rappresentato in maniera molto statica e distaccata, come se fosse un qualcosa che di diverso che affascina e si fa ammirare. Le facce aborigene spiccano per espressività, risaltano, colpiscono per il silenzio, la dignità e la perseveranza. Si guadagnano la curiosità e l’ammirazione dell’ingegnere minerario che si sente in dovere di penetrare e giustificare le loro credenze irrazionali.
La logica vincente dell’Interesse non si fa certo fermare da tre straccioni o da un rimasuglio culturale millenario. C’è chi, come un operaio, si identifica totalmente in quello che fa (il rovescio degli aborigeni) e vuole andare avanti con le maniere forti; oppure chi, come i grandi dirigenti, si comporta in maniera conturbante, ipocrita, falsamente accondiscendente, per arrivare comunque all’obiettivo dello sgombero.
Le vicende intermedie servono per presentare in maniera generale la mentalità e le ragioni degli aborigeni e di come il comportamento degli occidentali porti alla distruzione della terra e all’autodistruzione. Il tutto viene però presentato come un fato, una minaccia incombente, quasi evidente, che non ha bisogno di spiegazioni di dettaglio. L’ingegnere invece finisce quasi per essere come idealmente plagiato dalla cultura aborigena e dalle prospettive catastrofiste. Senza tante spiegazioni decide di abbandonare tutto come fosse un novello eremita o un asceta. Non si capisce bene cosa sia stata la molla che ha determinato la conversione (la noia per la vita ordinaria? la solitudine? lo schifo del mondo?). Fatto sta che idealmente la cultura perdente ha la vittoria morale nel film, anche se nel finale la sensazione di scacco e devastazione la si legge molto bene negli occhi degli aborigeni.

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