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L'ENIGMA DI KASPAR HAUSER regia di Werner Herzog

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amterme63     8 / 10  01/05/2008 14:11:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In Germania nel 1828 avvenne un fatto che interessò tutta l’Europa. Venne trovato un ragazzo dall’apparente età di 16 anni che non sapeva né camminare né parlare. Fu chiamato Kaspar Hauser. Del suo passato non si sapeva niente. Riuscì piano piano a imparare l’essenziale, ma non si inserì mai completamente nella società del tempo. Alla fine, dopo 5 anni, morì assassinato in circostanze misteriose. Ce n’era abbastanza per accendere la fantasia di scrittori, poeti e drammaturghi.
Anche Werner Herzog non si è sottratto al fascino di un tema che racconta di un essere “speciale”, unico, al di fuori di tutte le regole e le convenzioni sociali. A lui non interessano i fatti spiccioli di questa strana esistenza, vuole indagare il rapporto che si è creato fra questo essere “piovuto” sulla terra e il mondo che ha trovato dopo il suo “risveglio”. Il film si struttura quindi come una serie di scene distaccate l’una dall’altra, che ritraggono vari momenti anche molto banali. Si approfondisce quindi l’animo dei personaggi e il loro comportamento. Seguendo una logica descrittiva più che rappresentativa, nel film s’inframezzano piccole scene in cui la protagonista è la natura (personaggio dei film di Herzog tanto importante quanto le persone in carne e ossa). Il ritmo è molto lento, giusto per scandire il ritmo di vita di quell’epoca e far venire a galla l’atmosfera dei luoghi. La fotografia è splendida: le immagini sono tutte nitide, precise, ampie, luminose, con colori pieni, cariche di estetica. La Germania dell’epoca Biedermeier è ricreata molto bene, con la sua atmosfera immobile, provinciale e sonnacchiosa. A volte le scene sembrano riprese da pitture dell’epoca, con accenni alla pittura di Kaspar Friedrich. Sulle scene più introspettive domina la splendia musica di Pachelbel, Albinoni, Orlando di Lasso e Mozart. Soprattutto la scena iniziale con un campo di grano verde spazzato dal vento, con le magnifiche note del Canone di Pachelbel e la didascalia: “Non sentite questo terribile rumore che chiamate silenzio?”, mi è rimasta molto molto impressa.
Herzog sceglie sempre attori speciali per i propri film: per poter rendere al meglio il personaggio di Kaspar ha scelto un non-attore: Bruno S., all’epoca famoso per essere stato oggetto di un documentario basato sulla sua vita, vissuta fra il riformatorio e il manicomio. Certamente lui sentiva benissimo il senso di estraneità ed esclusione che caratterizzava Kaspar e lo poteva rappresentare al meglio, attingendo alle proprie esperienze. Per avere lui, però, Herzog ha forzato la veridicità della storia, visto che Bruno S. aveva più di 40 anni; non era certo un sedicenne.
Herzog descrive il tutto in maniera distaccata, stando però dalla parte di Kaspar. Lo studipo non è lui ma la gente che lo circonda. Kaspar entra in contatto con le autorità e la gente di paese, con scienziati e studiosi, con religiosi e atei, con poveri e ricchi curiosi e infine con l’alta società. In tutti i casi il suo comportamento istintivo, spontaneo riesce a far risaltare la falsità, la pochezza, l’ipocrisia, la prosopopea e la falsa superbia di tutte le categorie. Inoltre per tutti è un oggetto di studio, qualcosa di estraneo, che va in tutti i modi “educato”, “civilizzato” e portato sul retto e logico pensiero. Non sorprende quindi che Kaspar si esprima sempre in maniera negativa sul mondo che lo circonda (“gli uomini sono come i lupi”) e che senta la sua “caduta” nel mondo come una disgrazia, come un grande peso da sopportare. C’è poco sentimentalismo e poco eroismo nella sua figura, ma tanta modestia, spontaneità e semplicità. Il suo rifugio diventa la musica e la fantasia, con splendide visioni di posti esotici come il Caucaso (il realtà la Birmania) o il deserto del Sahara. Su tutte, la visione angosciante di un pendio sassoso in mezzo alla nebbia, con tanta gente che sale faticosamente verso la cima, dove sta la morte.