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LA BALLATA DI STROSZEK regia di Werner Herzog

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ULTRAVIOLENCE78     7½ / 10  17/05/2009 20:24:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La prima esperienza cinematografica di Bruno Stroszek con Werner Herzog fu, nel 1974, quella di “Jeder für sich und Gott gegen alle” (letteralmente: “Ognuno per sé e Dio contro tutti”; titolo italiano: “L’enigma di Kaspar Hauser”): uno splendido –e indimenticabile- esempio di film imperniato su una figura umana positiva, incarnata magnificamente dallo stesso Stroszek, che richiama il modello “rousseauiano” del buon selvaggio. Qualche anno dopo, il regista tedesco decise di coinvolgerlo in un altro progetto: la trasposizione del dramma teatrale di Georg Buchner “Woyzeck”. Ed infatti le analogie tra il personaggio di Kaspar Hauser e il “Woyzeck” herzoghiano sono notevoli: nei dialoghi che questi ha con alcuni esponenti della borghesia di Lipsia (precipuamente, un medico e un militare) emerge un modo di rapportarsi alle dinamiche dei comportamenti umani, che è estremamente disarmante nella sua semplicità e incontrovertibilità. Ma quest’ultimo, rispetto a Kaspar, presenta una dimensione interiore più articolata e controversa, perché direttamente collegata all’apparato istintuale quale espressione delle ingovernabili e imprevedibili forze della Natura, che sono intrinseche in ogni soggetto. Proprio per questa complessa caratterizzazione del personaggio, che implicava un lavoro sicuramente più impegnativo da parte dell’attore, Herzog decise “in extremis” di affidare il ruolo a Klaus Kinski. Per Bruno Stroszek fu invece concepita una nuova sceneggiatura (scritta in brevissimo tempo) avente per protagonista una figura modellata appositamente su di lui, il cui (cog)nome costituisce il titolo stesso dell’opera.
La pellicola si configura come un apologo sulla diversità. Bruno Stroszek è, come Kaspar Hauser, un buono che la società, costruita sul “mito” della rincorsa al denaro, non accetta e vede come un soggetto da emarginare, perché lontano dai modelli capitalistici che la informano. In questo senso, il viaggio verso l’America, che il protagonista intraprende con la donna amata (Eva Mattes), assume un significato chiaro e preciso: quello di demistificare l’”american dream”, mettendone in risalto la portata ingannevole e subdola. La ricchezza che Bruno ed Eva accumulano inizialmente è solo un miraggio, un’illusione, e scivolerà progressivamente dalle loro mani fino a che questi non torneranno ad essere dei nullatenenti. Di fronte al declino, le reazioni dei due conviventi divergeranno drammaticamente: Eva, facendo leva su un’altra fallace e caduca ricchezza, la propria bellezza, scapperà via con altri uomini che, alla stessa stregua dei suoi ex-protettori berlinesi, ne garantiranno il mantenimento fintanto che vorranno sfruttare le sue “grazie”; Stroszek invece, una volta rimasto solo e spogliato di tutto, metterà grottescamente in pratica la sua personale protesta contro lo “status quo”, attraverso una rapina maldestra e una sorta di burlonesco sabotaggio di un Luna park: gli ultimi atti di una vita da reietto, che si concluderà proprio come quella di Woyzeck, esemplando così l’unico modo per fuggire una realtà che non contempla “idioti” e utopisti.
Sotto il profilo formale, spicca la superba fotografia di Thomas Mauch, che soprattutto nelle sequenze del viaggio presenta un impatto visivo davvero sorprendente. Quanto alla regia invece, i momenti migliori sono indubbiamente quelli che descrivono il progressivo spossessamento degli averi di Stroszek, che termina con la rimozione della casa prefabbricata; la scena della rapina, a un tempo triste e ridicola; e infine le sequenze all’interno del Luna park, ove il movimento meccanico e insensato degli animali, crudelmente e coattivamente animati, rimandano all’immagine di un mondo mosso, in maniera cinica e spietata, dall’unico elemento fondante dell’intero sistema: il denaro.
Le uniche pecche del film stanno a mio avviso nello stile narrativo, a volte troppo lineare e piatto, oltre che prolisso, e, salvo lo splendido finale, molto meno visionario rispetto ad altre opere del regista di Monaco.