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LA BALLATA DI STROSZEK regia di Werner Herzog

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amterme63     8 / 10  05/06/2008 00:14:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Chi l’ha detto che Herzog è il regista delle grandi figure fuori dell’ordinario, delle imprese folli, del profondo pessimismo verso l’umanità, insomma un cineasta astratto e filosofico? Se vuole, invece, riesce anche a parlarci della vita quotidiana, di gente umile e dimessa e di fatti prosaici. Lo fa rimanendo comunque fedele ai suoi principi di disvelamento senza reticenze, di smitizzazione delle convenzioni più diffuse e comuni. Lui sta dalla parte dei più deboli e degli emarginati, in altre parole di chi ha il coraggio di vivere in maniera indipendente e fuori dagli schemi. Il suo atteggiamento nei confronti dei suoi “eroi”, dei personaggi che ammira, è pur sempre oggettivo e quindi non nasconde mai le contraddizioni, i grandi disagi, gli scacchi e l’inevitabile sconfitta di chi non si vuole “uniformare” alla media pecoreccia.
Nella Ballata di Stroszek, Herzog ci porta nella Berlino e nel Wisconsin degli anni ’70 e questa realtà ce la fa vedere dal punto di vista di un reietto della società. Già con Kaspar Hauser aveva fatto la scoperta di Bruno S.; la sua vita lo aveva così affascinato che è diventata il soggetto per questo film. Bruno S. aveva avuto un’infanzia difficilissima, picchiato e rifiutato dalla madre prostituta. Il resto della vita lo aveva passato fra cliniche psichiatriche e riformatori. Eppure era una persona a suo modo buona anche se debole, intelligente anche se non si sapeva esprimere. Soprattutto non si voleva uniformare a una vita “perbene”. Non si lava, puzza, è trasandato, disordinato, spesso ubriaco, vive di espedienti cantando nei cortili di Berlino. Nel film recita se stesso ed è girato nel suo appartamento reale. Nella finzione prende la parti di Eva, una povera prostituta vittima dei suoi due protettori. Eva è una figura in bilico fra voglia di normalità, tranquillità, amore e il richiamo di forze istintuali che la portano a desiderare di “degradarsi” con gli uomini.
Per cercare di togliersi da un ambiente impossibile e senza sbocchi, decidono di affidarsi al “sogno americano”. Il primo impatto con il paese dei grandi spazi non è negativo. Presto però si accorgono che vivere in maniera “borghese” (casa, televisione, tranquillità) costa e costa troppo. Non c’è niente da fare, anche la società americana è nemica di chi vuole vivere “libero”, senza cedere a compromessi o a scorciatoie. I soldi, senza quelli non si va da nessuna parte. Neanche l’amore basta. Inutile farsi illusioni, non è così facile come nei film di Chaplin. La vita esterna è troppo dura. Poi vengono fuori i lati oscuri e le differenze caratteriali e se la situazione materiale è compromessa è facile che tutto vada a gambe all’aria. Certo che perdere la persona amata fa male, fa molto male. Essere soli è peggio che essere poveri. Questo ci fa capire la conclusione tragica della storia, anche al di là della volontà di Herzog di evitare qualunque illusione o consolazione di natura emotiva o sentimentale.
Qui Herzog utilizza uno stile dimesso, non induce quasi mai in riprese suggestive o belle. L’ambiente in cui si svolge la storia è anonimo, grigio e autunnale. Il ritmo è lento e si sofferma sui momenti di vita normale dei protagonisti, scavando molto bene nel loro carattere. Si evitano drammatizzazioni o emozioni, spostando l’attenzione sull’ambiente e sulla grigia normalità. E’ il tentativo del regista di distaccare lo spettatore da quello che vede, per permettere oggettività di giudizio. Solo nel finale inserisce una tipica scena di significato quasi surrealista, quando in una specie di mini luna park si mostrano delle galline ammaestrate che ballano o suonano strumenti. Qualcosa di molto alienante e amaro.