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IL CORRIDOIO DELLA PAURA regia di Samuel Fuller

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stratoZ     9 / 10  09/11/2023 12:56:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Fuller col suo stile visionario e anche un po' ibrido tra classicismo e modernismo ci trasporta all'interno di una vicenda unica per quei tempi, anticipando anche un po' le tendenze degli anni successivi e realizzando una delle critiche più feroci al sogno americano e al successo a tutti i costi tipico della mentalità occidentale.

"Shock corridor" è un film molto ancorato al suo tempo, visto oggi potrebbe sembrare desueto a causa delle tematiche trattate fin troppo correlate al periodo, tuttavia ha una funzione di pietra angolare nel passaggio tra il cinema classico e quello moderno - si parla di cinema americano però - col suo stile tendente col passare dei minuti sempre di più all'astratto, Fuller tratta la tematica con un'espressività incredibile, regalandoci anche delle sequenze fantastiche di pura visionarietà, ma andiamo con ordine.

Individuare il main topic di "Shock corridor" non è facile, ce ne sarebbero almeno un quattro o cinque candidati, sicuramente uno è il contrasto tra i malati mentali - o tali considerati dalla società - e i sani. Fuller sembra non voler tracciare una linea precisa tra di essi, anzi il confine è astratto tanto quanto possa sembrare il suo stile, in una clinica di gente fuori di testa alla fine chi ha commesso il crimine più atroce è colui che doveva occuparsi della cura dei degenti, sebbene non manifesti esplicitamente i sintomi. A questo significato si correla facilmente la critica al sistema psichiatrico, ricordandoci comunque che siamo negli anni 60's e i metodi non erano gli stessi di oggi, Fuller critica non tanto quei metodi che oggi potrebbero essere considerati barbarie quali elettroshock e compagnia bella, quanto l'incompetenza e l'approssimatività di specialisti che dovrebbero assicurare la cura dei pazienti, e l'incipit del film in se ne è l'esempio lampante, un giornalista riesce ad ingannare una troupe di medici specializzati semplicemente fingendo.

All'interno del centro di cura poi vi è un catalogo di personaggi particolarissimo, come se ognuno rappresenti un particolare dettaglio delle problematiche che affliggono la civiltà occidentale, dal nero che probabilmente a causa delle intimidazioni subite è arrivato a credersi un bianco razzista con le sue continue manifestazioni razziali fino a credersi direttamente il fondatore del Ku Klux Klan, continuando con lo scienziato che dopo aver contribuito alla costruzione di armi di distruzioni di massa, probabilmente per senso di colpa, è arrivato a regredire fino a tornare bambino.

Altro personaggio interessante e discretamente profetico è il militare che si crede ancora in guerra e obbedisce soltanto a chi si finge suo superiore, qui sono abbastanza sicuro non sia fatto volontariamente, anche perché storicamente era troppo presto, ma Fuller anticipa quella tendenza che poi vedremo nella New Hollywood di trattare la sindrome post traumatica dei reduci di guerra, non c'è bisogno che nomini i cult in questione.

E infine la discesa del protagonista nella follia, diventa il filo narrativo principale della seconda parte del film, una caduta graduale un po' per i metodi, un po' per impersonificazione, un po' per l'ossessione di scoprire la verità che logora sempre di più il personaggio, questo evento non è altro che la metafora di un mondo che va sempre di più verso una modernità cinetica e senza un attimo di tregua in cui i soggetti sono sempre più avari di successo tanto che mettono in gioco la loro salute sia fisica che mentale, il capitalismo che travolge come un treno la vita delle persone e le influenza al punto da giocarsi tutto per ottenere un riconoscimento e la celebrità, e infine la realizzazione, qui arriva in maniera spietata e diretta allo spettatore, e voglio dire Peter Breck - che ammetto mia colpa non conoscevo affatto prima di vedere questo film - ci regala un'interpretazione magistrale, la progressiva discesa nell'incubo e nella follia è resa benissimo, il cambiamento di linguaggio del corpo, gli attacchi d'ira, la perdita di linguaggio, il voice over, diventando anche claustrofobico in alcuni momenti.

E poi Fuller che regala una prova registica senza eguali, appunto i momenti claustrofobici sono tanta roba ma lui gioca benissimo sia con le inquadrature, spesso fatte di corpi accovacciati per la disperazione e le tare mentali, sembrano quasi dei quadri, arrivando alle sequenze surreali, tra i racconti narrati a colori come se fossero vividi ricordi in contrasto con la cupa e grigia realtà del bianco e nero dell'ospedale psichiatrico, ad una scena cult, quella della tempesta che entra di diritto tra i momenti più belli del cinema, con la forte pioggia in interni a spazzare i residui di sanità mentale del protagonista ormai divorato da i suoi stessi demoni e incapace di ribellarsi - da notare come classicamente la pioggia è spesso stata usata come "lavaggio" dei peccati o brutte azioni che siano e qui Fuller cambia questa concezione -

Semplicemente meraviglioso