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RUSTY IL SELVAGGIO regia di Francis Ford Coppola

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amterme63     7½ / 10  20/04/2008 10:47:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci si accorge senz’altro che dietro questo film c’è la mano di un grande ed esperto regista; però si stenta a credere che questo regista sia Coppola, l’artefice dei grandi film classici degli anni ’70, la perfezione sublime di forma e contenuto. Intanto ha abbandonato lo stile ordinato, pulito, nitido, preciso dei Padrini (soprattutto del secondo) e l’estrema ricchezza e potenza delle immagini di Apocalipse Now. Si è messo a sperimentare e a fare il “virtuoso”. La parte tecnica tende ad invadere e a sovrastare la parte narrativa e contenutistica, quasi si sostituisce ad essa. Questa è solo una delle caratteristiche che fa avvicinare quest’opera ai film dell’ultimo Orson Welles (tipo l’Infernale Quinlan). E’ un Coppola che ha perduto la perfetta sintesi classica e che si è trasformato in un “manierista”. Per il resto il film segue lo schema abituale dei suoi film, con le vicissitudini di un “eroe” di animo fondamentalmente nobile e buono, il quale si trova costretto dalla perversa logica sociale in cui vive a farsi violento e prevaricatore. In questo processo subisce il fascino e giunge a sostituire un modello maledetto e perfetto allo stesso tempo (vedi il rapporto Michael/Vito Corleone – Willard/Kurtz). Rispetto però ai modelli precedenti, qui ci sono più sfumature e una nota spiritualista che non c’era nei film degli anni ‘70, mentre manca quasi del tutto la critica sociale o politica.
La prima cosa che salta all’occhio è appunto lo stile. Si capisce che si è voluto intenzionalmente richiamare il cinema degli anni ’50, usando il biano e nero, citando il film “Il Selvaggio” con Marlon Brando e “Gioventù Bruciata”, ma soprattutto ispirandosi a Orson Welles. Ad esempio c’è un perenne contrasto fra luci e ombre con la prevalenza del buio. Le ombre si stagliano nitide e a volte gigantesche e contribuiscono a dare una rappresentazione figurata e “non realista” di ciò che viene mostrato. I lati di ripresa sono quasi sempre o dall’alto o dal basso o in diagonale, sempre con scorci molto arditi. Si usa moltissimo il piano sequenza, spesso s’inquadra una figura o un particolare in primo piano mentre dietro si svolge l’azione. Ci sono oggetti ricorrenti che assumono valore simbolico (ad esempio l’orologio alla parete, le nuvole che corrono veloci in cielo, il pesce combattente). La macchina da presa si muove irrequieta spesso in carrellata o addirittura a spalla. Insomma il film ha uno stile particolare che colpisce e influenza la percezione dello spettatore e il cui significato si sovrappone (con i suoi messaggi estetici di qualcosa di maledetto, strano, inquieto, malato, infernale) alla narrazione dei fatti.
Tra l’altro non esiste una vera e propria trama, non si percepisce alcuna unità logica di tempo e luogo e c’è una vera e propria azione. Si accentua perciò il senso di isolamento e astrazione dei personaggi protagonisti e del loro mondo. Rusty James e suo fratello giganteggiano isolati in questo mondo quasi artificiale, buio, triste, disperato (erano gli anni di Blade Runner). Come succede nei film di Coppola precedenti, alla negatività universale si risponde ritornando indietro agli universali primitivo-tribali del genere umano: la preminenza della violenza, il dominio del più forte o del più furbo, il distiguersi di un “superuomo” su di una massa vile. In questo film c’è però una nota diversa, rappresentata dal personaggio del fratello di Rusty (uno stranito Mickey Rourke), il quale porta in questo mondo cupo e disperato una nota di nostalgia, di voglia di evasione, di ricerca di qualcosa di alternativo. Il personaggio è avvolto un po’ dal mistero e viene lasciato molto indefinito. Fa parte del “gioco” del film ma finisce per essere un difetto, in quanto il personaggio appare poco comprensibile e incompleto. Comunque è lui la nota che varia un film francamente monotono e autorappresentativo. Alla fine ne viene fuori una rappresentazione dello stato d’animo “intellettuale” degli anni ’80: cupo, disperato con tanta voglia di evasione. Una fonte d’ispirazione sfruttata artisticamente assai meglio in Blade Runner. Il finale di Rusty e quello “posticcio” di BR in qualche maniera si assomigliano, con la fuga verso un mondo ideale naturale diverso e più bello.