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UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO regia di Mario Monicelli

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amterme63     9 / 10  14/02/2008 22:46:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una piccola perla di film. Si tratta di un’opera molto curata, sia nella sceneggiatura, nella regia e soprattutto nella recitazione. Nonostante abbia l’aspetto di una divertente commedia leggera, in realtà il film rispecchia in maniera chiara e significativa alcune caratteristiche sociali e etiche di una larga fetta di popolazione italiana, portando così lo spettatore a comprendere e a riflettere su tanti diffusissimi “brutti vizi” italiani. Allo stesso tempo contiene un ritratto umano di intensa emotività e partecipazione, che non può non colpire l’animo di chi guarda. Il film alla fine lascia l’amaro in bocca: giocare tutta la vita solo sul proprio personale piccolo/grande tornaconto e sull’interesse materiale della propria cerchia affettiva inaridisce l’esistenza, può portare alla solitudine e all’odio. Probabilmente aprendosi anche agli altri e all’autenticità del vivere si potrebbe raggiungere un più ampio sfogo affettivo e una vita più intensa e più ricca. Ma questo fa già parte delle considerazioni lasciate alla libera interpretazione di chi guarda.
La sceneggiatura ricorda un po’ gli scritti di Gogol. Come fece il grande scrittore russo, anche qui si satireggia e si fustiga il personaggio del piccolo burocrate mediocre, fanullone, parassita, opportunista. Lo seguiamo soprattutto nella prima parte immerso nei suoi riti immutabili, ridicoli: una vita fatta di abitudini, di forme e convenienze, fine a se stessa, ma che per lui rappresenta il massimo che un essere umano può desiderare. Accanto a questo “archetipo” europeo ci sono anche tanti aspetti che connotano la vicenda come “italiana”. La stella polare del piccolo borghese italiano è la famiglia, intesa come istituzione. Poi viene il proprio interesse personale avanti a tutto (mors tua, vita mea). Insomma non si tiene conto di alcun interesse generale o collettivo, le regole esistono solo in funzione del proprio egoismo e degli interessi di parte. A tale scopo s’impone il rispetto ipocrita di norme esteriori, come la pratica religiosa formalistica, e la disinvoltura etica nel perseguire i propri scopi (il fine giustifica i mezzi). La sfiducia in qualunque istituzione collettiva o in norme universali condivise, può portare anche a considerare la “giustizia” come un fatto personale (non a caso la mafia è un fenomeno tipicamente italiano) e a riprodurre modi che fanno parte dello stadio “ferino” della civilizzazione umana. La storia del film rivela molto bene quest’aspetto dell’Italia di ieri e anche di oggi. Questa “tendenza” è tuttora l’atteggiamento maggioritario in Italia, come vediamo un po’ anche dalle scelte politiche della maggior parte degli Italiani.
Il regista asseconda l’atteggiamento della fonte di ispirazione (il libro di Cerami), creando situazioni e personaggi fra l’ironico, il grottesco, il ridicolo. Come non pensare a Spaziani che si toglie la forfora! Poi il dialogo con Dio al gabinetto, i colleghi di Vivaldi, l’ironia del portafortuna benedetto. La “stortura” stilistica non risparmia nessuno: non ci sono personaggi seri o alternativi, tutti sono immersi completamente nel letamaio sociale. In questa maniera l’effetto “evidenziazione dei difetti” raggiunge il suo massimo. Inoltre lo spettatore viene aiutato da uno stile molto preciso, semplice ma elegante. Tutte le circostanze vengono spiegate accuratamente nel loro accadere, anche a costo di rallentare il ritmo. Gli appostamenti di Vivaldi, le sue azioni sono rappresentate in dettaglio. Si nota un frequente uso di piani sequenza per chiarire bene le coordinate spaziali delle azioni e i punti di vista. La fotografia è molto pulita, nitida, di matrice classica, tipica del grande cinema italiano. Monicelli utilizza uno stile comico molto misurato e addirittura fa virare nel finale il tono del film verso la tragedia, proprio per far risaltare la serietà e la gravità dell’argomento. La situazione si sta facendo grave e ormai non si riesce più a ridere spensieratamente come una volta; ecco il succo di questa operazione stilistica.
Eppure il film non è solo una denuncia sociale, riesce anche ad avere la verità della vita vissuta. Il merito è della grande recitazione di Alberto Sordi. La sua interpretazione di Vivaldi è molto intensa e appassionata, si sente benissimo la preoccupazione, il dolore, l’ansia, la segreta nausea. La partecipazione al dramma del personaggio fa sì che un’azione così riprovevole come la macabra vendetta assuma tutta un’altra sfumatura. Risulta così vero che ci immedesimiamo e arriviamo a “sentire” il perché di tanta brutalità. Il giudizio di “condanna” verso Vivaldi, implicito nella storia, diventa così molto meno netto. Tra l’altro si scopre un risvolto psicologico nella sequenza del sequestro. E’ come se nell’assassino Vivaldi ricercasse di nuovo suo figlio, gli compra il cibo, lo fa bere e addirittura si dispiace quando muore. Insomma Sordi è riuscito a creare un personaggio molto complesso e ambivalente, regalandoci tutta la grande varietà e l’indeterminatezza del reale. Anche questo contribuisce a fare di questo film qualcosa di unico e speciale, al di fuori di qualsiasi classificazione di genere. Una vicenda e un personaggio difficili da dimenticare.
Marco Iafrate  15/02/2008 16:24:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Luca, penso sia inutile informarti di quanto mi fa piacere che il film ti è piaciuto, anche la tempestività con la quale lo hai visto e commentato mi gratifica, la interpreto come una fiducia in quello che scrivo e consiglio ( comunque la cosa è reciproca). Molto bella la tua analisi, ho travato interessante l'aver citato Gogol (ci starebbe bene anche Fonvizin); sono d'accordo con te, un film difficile da dimenticare. Alla prossima.
amterme63  16/02/2008 21:23:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Beh Marco abbiamo gli stessi gusti ma soprattutto i tuoi commenti sono sempre un piacere da leggere e sono così interessanti che fanno sempre venire voglia di "vedere".