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MINORITY REPORT regia di Steven Spielberg

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amterme63     7 / 10  24/07/2010 16:21:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Minority Report è il classico film di Spielberg: ritmo sostenuto, tensione, interesse, spettacolo, grandi riprese. Tutto è studiato e cadenzato per tenere sulle spine lo spettatore fino all’ultimo secondo (vedi la prima scena del salvataggio e la scena cruciale della “scelta”). Scenografie, attori, sequenze di ripresa sono di prim’ordine. Il cinema fatto in questa maniera è un cinema di qualità e Spielberg è uno dei più grandi cineasti “tecnici” della storia del cinema.
L’unico problema è che alla fin fine questi film rappresentano l’ennesima riproposizione di schemi collaudatissimi e strausati. Spielberg fa del mestiere la sua grandezza e sa come trattare lo spettatore per catturarlo. Certo uno spettatore più “smaliziato” riesce anche ad astrarre dal vortice procurato di emozioni e tensioni, in qualche maniera ne coglie la struttura e capisce che appartiene a qualcosa di già “visto” e prevedibile. Ormai si sa che il salvataggio avviene quasi sempre all’ultimo secondo, che l’eroe se la cava sempre nonostante gli intoppi, che riesce ogni volta a trovare un appiglio o un trucco casuale che risolve tutto. Altro punto obbligato è il lieto fine e l’accomodamento finale, come pure l’intoccabilità di certi valori come quelli di famiglia, patria, religione.
Detto questo, bisogna però ammettere che il film interessa e diverte lo stesso e che alcune scene (poche) sono originali e sorprendenti.
Ciò che salva questi film di stampo hollywoodiano è il fatto che trattano sempre un qualche argomento scottante d’attualità o di interesse universale. Minority Report ad esempio ipotizza un modello futuro di società con caratteristiche sociali ed etiche di grande interesse.
Quello che teme Spielberg è l’invadenza dello Stato nella vita individuale e nella libertà delle persone. Già è sconcertante il fatto che ognuno sia schedato e catalogato grazie all’iride oculare e sia tenuto tra l’altro a farsi riconoscere (la scena un po’ grottesca dei topini elettrici che vanno a scannerizzare gli occhi degli abitanti di un palazzo dei bassifondi, dove se ne fanno di tutti i colori). La pubblicità subito approfitta di questo “riconoscimento” forzoso e dà il benvenuto a ogni persona che entra nel negozio, ricordando gli acquisti effettuati (alla faccia della privacy). Questo succede anche camminando per strada o scendendo dalla metropolitana. Il controllo ossessivo arriva fino alle intenzioni e a perseguire chi “pensa” di commettere un crimine e arriva a farlo.
Tutto questo avviene grazie al progresso tecnico e alla ricerca. Rimane però ancora irrisolto il grosso problema della gestione dei progressi tecnici, cioè quello dell’imperfezione umana e del progredire lentissimo dell’animo umano rispetto agli istinti distruttivi e “primordiali”. Il pericolo più grave è l’abuso di potere, il cattivo uso che ne può fare chi lo gestisce senza limiti e contrappesi (è l’incubo di Spielberg da Schindler’s List in poi).
Comunque, nonostante i controlli più capillari e insistiti, si riesce a creare delle vie di fughe, delle zone d’ombra e queste possono addirittura tornare utili per sconfiggere il potere deviato.
C’è poi il fatto che l’uomo riesce per sua natura a conservare un margine di libero arbitrio. Nelle cose umane non esistono fenomeni e teorie assolute, c’è sempre un margine di incertezza o varianza.
Morale della favola: meglio lasciar perdere i sistemi di controllo totalizzante o preventivo e tendenzialmente mai fidarsi di nessuno. Il colpevole potrebbe essere innocente e l’innocente colpevole. Insomma le apparenze ingannano. C’è molto Hitchcock in questo film.