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IL GIOVANE FAVOLOSO regia di Mario Martone

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9 / 10  18/10/2014 01:30:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi ha semplicemente entusiasmato. Mario Martone (con la sua co-sceneggiatrice Ippolita di Majo) è riuscito a vincere almeno tre sfide: come rendere coinvolgenti la noia, la melanconia e il mal di vivere; come rendere cinematografica la poesia; come evitare di tratteggiare un Leopardi stereotipato, persino macchiettistico, narrandolo in tutta la sua complessità di uomo consapevolmente irrisolto e inquieto. In quest'ultimo punto è stato grandemente aiutato da un immenso Elio Germano che, oltre ad aver plasmato il suo corpo, il suo volto e la sua voce con una intensità raramente vista sullo schermo (tra le tante che potrei citare, scelgo di segnalare la sequenza in cui Leopardi reagisce al rifiuto della nobildonna fiorentina accasciandosi sul greto dell'Arno: da brividi), sembrava uscito direttamente dalla scuola di Carmelo Bene (osservate bene la scena in cui il giovane Leopardi traduce Omero al Monsignore nella biblioteca del padre, per esempio). Ma l'intero cast (davvero stellare) ha dato il meglio di sé: l'impostazione teatrale di Martone ne è uscita in tutta la sua potenza, ha cavato fuori dai suoi attori ogni minimo gesto, ogni minima sfumatura, ogni minima intonazione possibile, ha usato i dialetti, l'italiano aulico, l'italiano colloquiale.
Ciò che mi ha colpito in assoluto è la traduzione potentemente cinematografica della Poesia (maiuscola d'obbligo, in questo caso!) che Martone è riuscito a dare: con pochi colpi di montaggio analogico (di Jacopo Quadri) il regista napoletano contestualizza, illustra e penetra l'essenza dei testi recitati con straordinaria empatia e com-passione da un Elio Germano "posseduto" dalla capacità di "essere" quelle poesie... Davvero un exploit raro!
Ma tutta questa meraviglia non sarebbe stata possibile senza la straordinaria fotografia di Renato Berta: penso che Kubrick sarebbe stato fiero di lui (guardate bene la sequenza del colloquio tra il padre e lo zio di Giacomo, tutta girata a lume di candela... vi ricorderà senz'altro un certo Barry Lyndon!). I luoghi filmati (quelli marchigiani li abito e quindi li conosco bene) sono stati resi in modo al contempo realistico e "favoloso", nel senso etimologico di "fiabesco", contribuendo così in maniera determinante alla riuscita della traduzione in immagini della poesia e del travaglio poetico della sua creazione.
Da citare il gran lavoro di costumista (Ursula Patzak) e scenografo (Giancarlo Muselli) entrambi davvero meticolosi fino alla pignoleria (in questo Martone ci aveva già abituati, qualcuno ricorda "Noi credevamo"?).
Ma tre cose sono davvero da omaggiare in questo film: il trucco (Maurizio Silvi), gli effetti speciali (Rodolfo Migliari) e la musica (Sascha Ring). Se è immediatamente comprensibile il trucco, decisamente strano (dato il genere) sembrano i secondi. E invece questo film è zeppo di effetti speciali, alcuni davvero spettacolari, nonché di rielaborazioni digitali straordinariamente realistiche e ben riuscite (una su tutte: godetevi il passaggio dal volto di Elio Germano verso il firmamento e lo spazio profondo nell'ultima, intensissima sequenza dedicata alla "Ginestra", oppure la sequenza del terremoto e dell'eruzione del Vesuvio, per non parlare delle notti di luna piena). Nota a parte merita una azzeccatissima, in molti momenti spiazzante colonna sonora: accanto ai brani di Rossini e di altri autori classici, Martone ha lasciato il commento musicale al 36enne tedesco Sascha Ring, specialista in musica elettronica cross-genere, una scelta azzeccatissima che ha saputo esaltare emotivamente tutti gli stati d'animo mostrati nelle varie situazioni realistiche e poetiche (c'è persino un brano in inglese, ma, vi assicuro, non stona affatto nel contesto in cui è inserito). Mi ha pienamente convinto e coinvolto.
Last but not least, una parola su come è stato reso Giacomo Leopardi: lungi dall'essere un film biografico in senso classico, questo "giovane favoloso" racconta anzitutto l'anima e il corpo di Leopardi non tralasciando nulla e non cedendo mai a possibili, facili agiografie. Del grande poeta recanatese vengono descritte le sofferenze fisiche, i tormenti interiori, i conflitti e l'oppressione familiari, le ribellioni, lo spleen, la più che probabile omo o bisessualità, le sue emozioni più profonde in ogni minima sfaccettatura, il tutto con tratti molto decisi e realistici ma sempre delicati e rispettosi (e anche qui determinante il lavoro mimico di Germano insieme all'appoggio degli altri colleghi, a cominciare da Michele Riondino e Massimo Popolizio, passando comunque per tutti gli altri, tra i quali cito Sbragia e Iaia Forte). Da notare infine che tutto il film, poesie comprese, è stato girato in presa diretta senza doppiaggio in post-produzione: sentite con quali risultati lasciandovi cullare dal suono delle voci attoriali...
Insomma: quando cultura, sensibilità, preparazione ed esperienza si fondono producono risultati come questo. Auguro a questo film di godere in tutta Italia e all'estero del grande successo che sta avendo qui nelle Marche.