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SIN CITY regia di Frank Miller, Robert Rodriguez

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Boromir     8½ / 10  04/12/2022 23:12:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Assieme a Alan Moore, Frank Miller è colui che ha influenzato tutto l'influenzabile per quanto riguarda il fumetto americano degli ultimi trent'anni. Per quanto alla sua lettura revisionista di Batman sia attribuito il merito di aver sdoganato il fumetto come arte di grande valenza oltre alla dimensione puramente popolare, è Sin City l'opera più rappresentativa e personale, un intrecciarsi di storie noir ad alto tasso grandguignolesco con protagonisti personaggi amorali e fuori di testa (assassini, prostitute armate fino ai denti, cannibali, cardinali corrotti, cadaveri parlanti) che vivono all'insegna della violenza e del sesso in una città che pare la versione moderna delle Sodoma e Gomorra di biblica memoria. Grazie a uno stile più cinematografico rispetto a quello di Moore, contraddistinto da un uso massiccio delle didascalie in luogo di voce narrante alla Raymond Chandler, era solo questione di tempo prima che Miller si avvicinasse alla Settima Arte. E così, dopo aver firmato la sceneggiatura dei due squallidi seguiti del Robocop di Paul Verhoeven, il successivo incontro tra il fumettista e il cinema (con conseguente esordio alla regia) è avvenuto nel 2005, quando il regista texano Robert Rodriguez (fedele amico e pupillo di Quentin Tarantino, qui nel ruolo di co-director) ha deciso di firmare la trasposizione cinematografica shot-for-shot di Sin City.
Allora rivoluzionario per l'impiego preponderante della tecnica digitale del green screen, Sin City è uno spettacolo visivo ancora oggi magnifico. È un film grottesco e amorale, violento e sopra le righe, anche un po' stupidotto (ma mai stupido), che fa leva sul coinvolgimento emozionale delle deliranti storie messe in scena e sulla sua galleria di memorabili personaggi allo sbando. Fotografando il film in un affascinante bianco e nero metallico sporcato da macchie di colore come nello spielberghiano Schindler's List (schizzi di sangue rosso, bianco e giallo; gli splendidi occhi blu di Alexis Bledel; i capelli fiammeggianti di Goldie; l'occhio d'oro artificiale del mercenario Manute interpretato da Michael Clarke Duncan), Rodriguez riempie ogni inquadratura di mille feticci provenienti dalla miglior tradizione del noir americano classico, rileggendo tutto in una chiave pulp post-moderna che punta all'eccesso come nel suo stile. Tutto ciò che già sulle pagine disegnate funziona è ovviamente farina del sacco di Miller, ma al regista di Dal tramonto all'alba va assegnato il merito di conferire comunque un'anima alla traduzione da vignetta a pellicola, evitando la sensazione di spudorato copia-incolla senza personalità che pervade invece Watchmen di Zack Snyder.
La grandezza di Sin City, a oggi l'unico vero erede spirituale di Pulp Fiction, non sarebbe stata possibile se non fosse stato per il cast di star azzeccatissimo chiamato da Rodriguez per i ruoli principali, vera e propria ragione d'esistenza di questo film: Bruce Willis tocca probabilmente i suoi vertici interpretativi; il perennemente truce Clive Owen è perfettamente credibile nei panni del criminale belloccio e dannato; Benicio Del Toro è adorabile nella sua cattiveria mediocre e tutto il cast femminile dà anima e (soprattutto) corpo a figure di donna forti e intraprendenti che allontanano qualsiasi accusa di misoginia. Il migliore di tutti, manco farlo apposta, è Mickey Rourke nei panni di Marv, indistruttibile duro dal cuore di panna, sconfitto più volte dalla vita ma sempre pronto a rialzarsi per dominare la notte: in parole povere, la vera anima di Sin City.