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IL PRIGIONIERO DI AMSTERDAM regia di Alfred Hitchcock

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Godbluff2     7½ / 10  06/06/2022 14:01:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un vero peccato quel misero minuto finale di propaganda dichiarata che il britannico trapiantato a Hollywood Hitchcock rivolge agli americani incitandoli all'interventismo nella Seconda Guerra Mondiale, è un minuto che a me da molto fastidio. Naturalmente visto il contesto storico la scelta di Hitch o della produzione o di entrambi, è perfettamente comprensibile anche vista la (tristemente) nota efficacia del mezzo cinematografico come strumento di comunicazione e propaganda, massicciamente utilizzato anche e soprattutto dall'altro fronte, in quegli anni; Hitchcock ha spesso infarcito i suoi film di propaganda e soprattutto critica anti-nazista sacrosanta anche prima dello scoppio della guerra. Qui però la cosa diventa appunto troppo urlata e palese, si esce completamente dalla finzione cinematografica ed è un minuto davvero fastidioso, invadente; anche perché non tutti i colleghi di Hitchcock nella Hollywood di quegli anni, nemmeno gli europei trapiantati/esiliati/emigrati, hanno infilato nei loro film appelli così netti e forti di propaganda come quello che vediamo nel finale di questo film.
Nonostante la potenza del cinema come mezzo propagandistico, io l'uso della propaganda palese in un film non posso sopportarlo e questo appello alla gloriosa potenza e giustizia americana messo lì nel finale mi ha rovinato non poco il gusto di un film che è molto bello e, senza l'ultimo minuto, lo sarebbe stato anche di più.
Lo capisco, ma non lo apprezzo.
Al di là dell'ultimo minuto "Foreign Correspondent" ha anche e soprattutto tante belle cose da mettere sul piatto e conferma un periodo di grande ispirazione di Hitchcock, che dopo "Rebecca", nel medesimo anno, sforna un altro film ottimo e ispirato soprattutto nelle soluzioni estetiche, dove l'occhio del maestro inglese tira fuori meraviglie. Anche a livello narrativo è una delle sue spy-story più riuscite e divertenti nello svolgimento e nel ritmo, è una di quelle che ho apprezzato di più pur non essendo nel complesso troppo entusiasta quando affronto l'Hitchcock spionistico.
Anche in un film dove lo spettro della guerra (già in atto nella realtà) è opprimente e onnipresente e diventerà poi materiale proprio nel corso del film, Hitch non rinuncia mai a guizzi di umorismo, infilato nei caratteri e nei comportamenti sempre spavaldi di alcuni personaggi (l'impagabile ffolliot di Sanders) oppure ben calibrati anche quando inseriti in sequenze che dovrebbero essere palesemente drammatiche (l'inseguimento con sparatoria in macchina, con l'ironia dei dialoghi nelle scene in automobile che si conferma un marchio autoriale assoluto di Hitchcock), così come naturalmente gestisce in maniera sublime l'altro suo marchio di fabbrica, la suspense, in un paio di sequenze memorabilissime (il campanile di Westminster, il finto rapimento e il dialogo tra ffolliott e Fisher).
Tante altre splendide idee estetiche sparse qua e la (l'assassino che fugge, inseguito, in una foresta di ombrelli neri, sotto la pioggia; il trucco delle pale del mulino che girano controvento per mandare messaggi in codice) ma sono due le sequenze capolavoro dove Hitchcock esalta la sua maestria insieme tecnica e narrativa: la prima è quella dell'abbattimento e dell'affondamento dell'aereo, concitata, drammatica e imponente nella sua forza visiva, con un ottimo senso di realismo per un film di Hollywood del 1940, sequenza realizzata con grande sforzo logistico e grande ingegno tecnico da Hitch e la troupe (l'eccellente uso del trasparente, l'uso di effetti speciali e meccanici, la ricostruzione certosina in studio della scena con l'uso di una grossa vasca d'acqua); la seconda è naturalmente quella all'interno del mulino. Già le inquadrature in esterni subito precedenti erano state costruite in maniera sublime, quasi di bellezza pittorica, ma all'interno del mulino Hitchcock si sbizzarrisce: con l'occhio ormai totalmente padrone di uno stile proprio ma che automaticamente ricorda certi insegnamenti dell'Espressionismo tedesco, Hitchcock mostra una spaventosa padronanza nell'uso dello spazio, inquadra e fa muovere i personaggi in diversi piani d'inquadratura, diverse angolazioni, giocando con la profondità dello spazio, con la composizione dello spazio, l'uso della luce straordinario, creando un effetto complessivo che è pura estasi visiva, fusa con l'altrettanto perfetta gestione dei tempi narrativi di quella sequenza, nella quale ogni splendida inquadratura (più profonda, più lineare, dal basso, dall'alto, da diverse e particolari angolazioni per giocare col movimento del protagonista attraverso il mulino, che diventa labirinto colmo di tensione) diventa un potenziamento irrinunciabile della narrazione di quel momento; i tempi narrativi impeccabili e la forma straordinaria con la quale sono create queste inquadrature (con la bellissima fotografia di Rudolph Maté e il montaggio fondamentale di Dorothy Spencer) rendono la sequenza del mulino un capolavoro a se stante all'interno del film, un momento da consegnare commossi alla storia del cinema.
Anche qui, persino negli esterni, si trattò di un preciso lavoro di ricostruzione nei set di Hollywood e caspita che lavoro eccellente (lo scenografo, Alexander Golitzen, è stato da applausi).
Per il resto storia spy godibile, attori protagonisti senza troppo mordente ma attori secondari capaci di ottime prove (oltre a Sanders anche Albert Basserman, storico attore del teatro espressionista tedesco tra fine '800 e primo '900 e del cinema tedesco degli anni '20, offre un'interpretazione rimarchevole), mentre Hitchcock mette in scena il solito sequenziario di topoi personali (oltre all'immancabile cameo) alcuni dei quali verranno sviluppati ulteriormente nella fase della massima maturità, come l'elemento dell'altezza e delle vertigini, che abbondano tra fughe sui cornicioni e scene thrilling sui campanili pur restando solo espresse implicitamente, senza che le intuizioni di Hitchcock dietro la mdp le renda poi esplicite e quasi "tattili" come avverrà poi in "Vertigo".
"Foreign Correspondent" è un altro gran film di Hitchcock, personalmente inficiato, parzialmente, soltanto da quella scelta propagandistica nel minuto finale. Un piccolo classico del miglior Hitchcock spionistico.