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FANNY & ALEXANDER regia di Ingmar Bergman

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Crimson     8 / 10  05/09/2005 10:38:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il mio commento si riferisce alla riduzione cinematografica di "sole" 3 ore, in cui inevitabilmente ci sono alcuni buchi che tuttavia non compromettono quasi nulla ai fini della comprensione finale. Ho trovato i primi 50 minuti di una noia incredibile: si tratta di un prologo a mio avviso troppo lungo. Forse si confà bene al resto delle vicende nella versione dello sceneggiato, ma in quest'altra stona pesantemente. Anche perchè occupa 2/3 della pellicola. Da quando entra in gioco il vescovo cambia tutto. La storia prende ritmo, brillantezza, e tocca nel profondo. La compassione che si prova per madre e figli è grande. Questa parte centrale è effettivamente la migliore del film, e emerge il tema centrale: il potere dell'immaginazione. Alexander, ribelle e furbetto, è il vero protagonista. Fanny è una bambina che stà sulle sue, tutto ciò che fà è sempre preceduto dal fratello. I due rappresentano due stadi differenti della crescita. Alexander stesso lo fà presente al vescovo in una circostanza. Egli s'imbatte in una serie di prove assurde per un ragazzino della sua età, ed è costretto a dover sviluppare precocemente alcuni metodi di fronteggiamento. Fanny al contrario subisce molto meno tale pressione. Alexander "vede" il padre, ossia secondo me il riflesso della propria coscienza con cui confrontarsi e in funzione della quale sperimentare modelli di reazione alle situazioni. Uno di questi è la menzogna, che per un bambino è "giustificabile". La finzione è fin troppo necessaria per crescere. Su ciò è di parere nettamente opposto il vescovo, che di conseguenza lo punisce. Dichiara di amarlo, ma quale punizione così severa risponde a un amore? l'amore vero, genuino, è quello della madre. Questa è la figura che mi è piaciuta di più. All'inizio la sua ingenuità infastidisce, ma lo scorrere degli eventi la mette in luce come una madre assolutamente perfetta. La parte in cui spicca il personaggio di Ismael non è molto chiara a dire la verità. Perlomeno così a me è parso. Sicuramente nella versione integrale è tutto molto più comprensibile. La fine del vescovo è davvero assurda, ingegnosa, e mi è piaciuta molto quella parte del film, fino al ritorno della madre a casa. Il finale invece richiama l'inizio: famiglia al completo e intrallazzi vari grotteschi e per me noiosi. Dei "due" Bergman, a quello delle scene pompose, ridondanti, in cui a far da padrone è il grottesco, io preferisco di gran lunga l'altro: col suo stile scarno e disadorno, con la sua capacità di generare molteplici riflessioni profonde con pochi elementi di contorno. Per questo il film mi è piaciuto molto meno di tanti altri, pur considerando che si tratta di un'opera straordinaria, in cui spiccano una fotografia e una scelta degli allestimenti eccezionali.
Crimson  15/09/2011 20:53:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
marzo 2008, rassegna su Bergman. La mia prima volta di Fanny & Alexander versione integrale (ne è seguita una seconda nel settembre 2010). In sala non più di 10 persone, età media sui 60 anni. Pausa di venti minuti a metà film per un caffè, secondo le volontà espresse da Bergman in 'Conversazione con Ingmar Bergman'. Voto 10/10

Il testamento cinematografico di Ingmar Bergman è una vera summa della sua arte, da vedere necessariamente nella sua versione integrale per fruirne (ma anche per seguirlo e capirlo) a pieno.
Cinque ore che non si fanno sentire sul groppone, al contrario di altri 'mattoni' (mi viene in mente 'Novecento'..). Pur essendo il film più pomposo e magniloquente non lo trovo il migliore, questione di gusti, eppure è un'opera sensazionale per l'incontro tra teatro e cinema, principalmente. I riferimenti alla vita vera del piccolo Bergman si sprecano, e dal discorso di ringraziamento di Oscar (il padre di Alexander) sulla valenza esistenziale del suo piccolo teatro inteso come micromondo, fino alle parole conclusive di Strindberg lette dalla nonna dell'alter ego del regista, 'Fanny & Alexander' è un'opera imponente che si snoda tra quattro ambienti, fondamentalmente, e in cui grottesco e tragico si alternano e si fondono in un unico quadro, dominato da una riflessione su tutte: come la repressione religiosa possa influire sul libero pensiero, sul potere dell'immaginazione, della cultura, dell'Arte intesa in tutte le sue forme, sulla magia e le svariate chiavi di lettura irrazionali di un'esistenza riguardo cui nessuno ha LA verità in tasca da imporre agli altri.
Il vescovo Vergerus, alter ego del padre di Bergman, è una delle figure più austere e odiose della filmografia del regista. Un personaggio irritante, descritto in modo superbo e interpretato peraltro molto bene da Jan Malmsjo. Oscar è il padre che Bergman avrebbe sempre voluto, e Helena la nonna a cui il regista era tanto affezionato.
Molto importante anche la figura di Emilie (madre di Fanny e Alexander), abbagliata dalla luce della sicurezza e della fede nel momento di maggior debolezza, ma capace di risollevarsi e di dare sempre prova di un amore indelebile, forte e struggente per i propri figli.
Nella versione cinematografica ridotta inoltre manca una delle scene più intense: il racconto del sogno di Isak (compagno ebreo di Helena), un monologo bellissimo di Erland Josephson, ambiguo e simbolico, da cui traspaiono metafore imponenti sulla vita, la sofferenza e la condivisione.


"Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile.
Il tempo e lo spazio non esistono.
Su una base insignificante di realtà, l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni"

(August Strindberg)