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LA SIGNORA DI SHANGHAI regia di Orson Welles

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BlackNight90     8 / 10  09/09/2010 02:13:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si dice che il capo della Columbia, società per la quale Welles girò questo film, non avesse capito nulla del film a tal punto da offrire 1000 dollari a chi gliel’avesse spiegato:e in effetti, oltre al fatto non trascurabile delle sforbiciate inflitte dalla produzione (oltre un’ora di pellicola), ennesimo danno alla genialità di Welles, è vero che questa storia risulta un po’ complicata e cavillosa, a volte pure stralunata, ma l’impressione è che sia un effetto in parte voluto dal regista per confondere e smarrire il suo protagonista e di conseguenza lo spettatore.
Ad esempio sono estranianti le scene nei luoghi esotici e nei bassifondi dei paesi del Centro America visitati dai naviganti, così diversi dal rassicurante contesto delle città americane, è quasi allucinante la bellissima sequenza nell’acquario con quel gioco di luci e di ombre, sono inquietanti i primi piani così ravvicinati dei volti sudati e sporchi, non certo belli a vedersi, dei luciferini Sloane e Anders.
Dalle scene del processo in poi comunque quest’intenzione è palese, sia nel tono farsesco e impotente verso il protagonista con cui si svolge (omaggio al Kafka che insieme a Shakespeare sono i veri maestri letterari di Welles), sia per le scenografie espressioniste del luna-park che anticipano quelle che metterà nel suo Processo.
La regia barocca di Welles è ancora una volta perfetta e perfettamente funzionale, e quando mai non lo è?
Rita Hayworth è meravigliosa nel ruolo della dark-lady, la sua chioma bionda e corta ha fatto scalpore e chissà forse c’è anche un pizzico di bastardaggine di Welles che le aveva imposto di tagliarseli dato che al tempo erano sposati ma sul punto di divorziare.
Welles attore invece sembra poco convincente e fuori ruolo, ma forse perché la sua megalomania me lo fa vedere sempre in maniera diversa.
E’ un noir anche molto personale visto che affondando piano piano (troppo piano comunque) nel torbido di questi personaggi malvagi e autodistruttivi, squali che si divorano tra di loro, Welles inserisce chiaramente l’invettiva contro quel sistema che ha rifiutato e disprezzato il suo genio e lo ha costretto ad emigrare.
Per fortuna rimane, ed è tanto contando che i tagli contribuiscono a non farne uno dei capolavori di Welles, quel finale fantastico e caleidoscopico degli specchi (finale tra l’altro omaggiato in maniera non proprio originale da Allen in Misterioso omicidio a Manhattan), in cui sembra che la malvagità si moltiplichi all’infinito così come le numerose identità dell’essere umano.