caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

OLD BOY regia di Chan-wook Park

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
jack_torrence     7½ / 10  22/11/2010 17:06:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non sono affatto insensibile a quell' "esigenza" tanto esemplarmente riassunta nel più che mai utile commento di Ciumi poco sotto al mio.

Tuttavia mi accontento di riconoscere e apprezzare un film - una certa estetica, soprattutto - per quello che vuole essere, riservando giudizi più severi laddove, per confronto, è possibile dire che il risultato sia meno riuscito (ad esempio, in "Sympathy for Mr. Vengeance" o "Lady vendetta").

"Old boy" è per me una gustosa parabola (per nulla convenzionale nello stile) su di un tema, che non è la vendetta, né le sue controindicazioni, bensì nient'altro che il peccato originale biblicamente inteso: ossia l'IMPOSSIBILITA' PER L'UOMO DI RINUNCIARE A CONOSCERE.
Il groviglio di incesti cui "Old boy" conduce è tutt'altro che un esito esasperato e barocco della trama, ma permettere di rileggere quella che sembrava una banale storia di vendetta come una metafora delle conseguenze che discendono dal voler (troppo) sapere su se stessi.
E' preferibile non provocare gli dei, restando nella propria ignoranza: sembra questo il suggerimento del film (irridente, poiché chi di noi accetterebbe di non sapere, dopo quindici anni passati in quel modo, senza una ragione? L'assurdità della condizione del protagonista, è, un po' grossolanamente, presa come metafora della condizione esistenziale dell'uomo: la vita è una prigione).

Sicuramente leggere il film in questo modo è discutibile (poco illuminista e molto controriformista), tuttavia è bene non dimenticare che si tratta solo di una provocazione: tutto il film è solo un gioco, così come il suo gusto estetico.
Non si prende, e non va preso, troppo sul serio.
Sia prova di ciò un confronto con un altra pellicola, totalmente diversa, che affronta un tema vagamente analogo.
Intimista e straziante, emozionante, "Decalogo 4" di Kieslowski, è un film in cui una figlia vorrebbe intensamente sapere se un uomo, di cui è innamorata, sia o no il proprio padre naturale. Kieslowski si prende molto sul serio nell'esporci il suo convincimento che non sia prudente l'ambizione a conoscere, perché un'informazione "reale" contiene meno verità di quanta ne può avere la condizione di partenza che forse è un' "illusione", ma è lì che si nasconde la sostanza maturata negli anni, in una relazione umana. E affannarci a conoscere un' "altra" verità è solo un pretesto con un doppio fine, ovvero quello di attestare la possibilità di un amore disambiguo - quello di una figlia per il padre - che abbia la licenza di assumere una forma altrimenti incestuosa.
Sostanzialmente, l'esito del discorso di Kieslowski è opposto a quello di Park. A partire dalla medesima "condanna" della volontà di sapere, in Kieslowski si nobilita la sostanza pregnante della vita, invece Park - se si commettesse l'errore di prenderlo sul serio - contiene solo l'irrisione dell'uomo, come quella di una capricciosa divinità dell'olimpo greco che irridesse il destino tragico di Edipo.
Ma i tragici greci non si prendono gioco del destino umano; e Park non è Sofocle, è solo un suo lontanissimo epigono post-moderno.
jack_torrence  09/12/2013 17:39:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dovrei rivederlo, ma intanto correggo il voto, che sicuramente è almeno un OTTO.