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ALABAMA MONROE - UNA STORIA D'AMORE regia di Felix Van Groeningen

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  12/05/2014 14:50:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Qualcuno capirà, altri lo bolleranno come un maledetto film materialista. La storia d'amore tra Elise e Didier ha una struttura tradizionale, da letteratura americana moderna, ma è anche un film che ha il coraggio di rompere con la sua struttura originaria per modellarsi secondo altri parametri. E sono quelli dove passione e sofferenza procedono per canoni inversi, intersecandosi l'uno con l'altro. Ci trovi qualcosa à la Altman, ma c'è troppo realismo per metterlo in relazione con la metaforica ascesa del celebre regista. "Will be circle be unbroken" è uno dei temi più popolari della cultura musicale americana, grande successo di una band poco conosciuta in Europa, la Nitty Gritty Dirt Band. E infatti... cosa succede quando il meccanismo si spezza? Quando, in un'Europa tardivamente attratta dagli States un country singer e una donna ricoperta di tatuaggi - affine magari per formazione culturale a generi più rock - si incontrano si amano decidono di vivere insieme?
La musica, molto più di un film francese di qualche anno fa di cui non ricordo il titolo, ha una sua predominante sulla storia, anzi su ogni tipo di avvenimento. La coppia potrebbe essere il contraltare cinematografico di celebrate husband and wife del country o folk, tipo Johnny Cash e Roseanne, o magari Kris Kristofferson e Rita Coolidge, Didier sembra il fratello più alto del più famoso cantante country d'America, Waylon Jennings.
E la musica racconta il lutto in una straziante "Lord, l'm coming home" che mette i brividi, come autentica è la dimensione distruttiva della coppia nella rielaborazione dello stesso lutto, come un corpo impellente da rimuovere dai ricordi, per sopravvivenza o necessità, o frutto di un'avversione che reclama di aspettare un'altra vita. E' in questi passaggi che il regista dà il meglio di sé, per la capacità (v. anche certi magnifici flashback antologici) di affrontare temi come l'eutanasia e la Dolce morte rispetto al sacrificio impellente di una speranza vana di sopravvivenza. A volte però il regista forza la mano, magari volutamente, ma non mi è piaciuta la requisitoria di Didier, comprensibile ma a modo suo fanatica, integralista nella sua crociata anticlericale. Molto più vera la rappresentazione di un Sogno (l'America) nei suoi aspetti più invadenti e radicali, mentre la faccia di Bush comunica quel bisogno ipocrita di liberarsi alla vita a tutti i costi. Però accidenti è uno dei rari film che si interroga sul mistero della morte raccontando quanto il silenzio che passa (mai invano) sia già una terribile condizione laica di un dolore che non può essere restituito dai soli ricordi. E' a modo suo bellissimo questo dramma che si ravviva attraverso la musica, e nell'ortodossia della musica country che nel bene e nel male rappresenta un veicolo di contrasto alla dimensione terrena, diciamo pure agnostica, della vita.