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ABOUT A BOY regia di Chris Weitz, Paul Weitz

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Invia una mail all'autore del commento make     6 / 10  20/06/2003 03:08:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film futile, divertente ma dimenticabile. I fratelli Weitz che certamente non hanno a che fare con i fratelli Cohen ma neanche con i Farrelly dirigono il best-seller di Nick Hornby in un film dove manie e smanie degli uomini di oggi, incapaci di assumersi le proprie responsabilità s'intrecciano con buoni sentimenti il cui fine principale è strappare qualche innocua risata ad un pubblico costretto ad intentificarsi con i suoi eroi. L'intento è quello di proporre una Bridget Jones al maschile in questo caso nelle vesti di Hugh Grant, ricco scapolo convinto, gelosissimo della sua libertà, come anche di tutti i comfort, dalla pay.tv alla macchina sportiva, che lo portano ad essere un perfetto allergico alla famiglia e un insoddisfatto conquistatore di donne. La crisi di Bridget Jones qui viene interpretata secondo i canoni del perbenismo: l'incontro con Marcus, ragazzino di 12 anni, totalmente estraneo, infelice di una situazione familiare d isastrata da un padre as sente ed una madre separata, post-hippie, caduta in una depressione non del tutto affrontata nel film, condurrà il protagonista ad intraprendere un viaggio verso una dimensione a lui totalmente aliena. Tra una bugia e l'altra, con tocchi leggeri, a volte felici e a volti più deboli si arriva allo scontato happy-and che come sempre intende rassicurare lo spettatore secondo i classici film per famiglie. Rispetto ad American Pie, i fratelli Weitz, propongo un film decisamente più maturo che pecca però in una sceneggiatura spesso troppo inconsistente nonostante la supervisione di Nick Hornby. Una prova in parte riuscita anche se alcuni personaggi, in certi momenti un pò troppo stereotipati, appaiono e scompaiono senza lasciare traccia, ingiustamente privi di un vero e consistente taglio generazionale. Rimane l'ironia very british, il gusto amarognolo e dolce allo stesso tempo, il cast di tutto rispetto anche se vittima delle stesse interpretazioni: Toni Collette, la madre di Marcus, dopo il Sesto Senso sembra destinata a coprire il ruolo della madre disperata mentre Hugh Grant è sempre proteso ad iconizzare un certo tipo di personaggio a disagio, un pò spaurito, ironico e volutamente fuori luogo. La colonna sonora, orecchiabile ma un pò ruffiana, ricalca perfettamente il risvolto malinconico e rassicurante del film che, nonostante l'iniziale e ricercata citazione letteraria di John Donne, "nessun uomo è un'isola", possibile premessa per un tema dai forti connotati esistenzialisti dove poter sviluppare l'incontro di più solitudini e le conseguenze dell'isolazionismo nel suo arcipelago generazionale, rimane alla fine troppo incline alla tentazione della retorica.