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L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL regia di David Fincher

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Invia una mail all'autore del commento ilSimo81     7 / 10  08/01/2015 18:14:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La crisi matrimoniale di una giovane coppia si ritrova sospesa, scandagliata e reinterpretata nel momento in cui Amy sparisce, nel giorno del quinto anniversario di nozze. Sospetti e accuse si riversano sul marito Nick, giudicato colpevole dai media e dalla logica delle cose. Ma qual è la vera colpa di Nick?

Impresa difficile, trovare macchie nell'opera omnia di Fincher. Stiamo parlando di un regista relativamente giovane (classe 1962), autore di pilastri del cinema contemporaneo, i cui titoli parlano da sé: "Seven", "Fight Club", "The game", "The social network", "Uomini che odiano le donne", "Il curioso caso di Benjamin Button", "Zodiac". Insomma, uno che sa prendere bene la mira prima di andare a segno.
E se fosse durato (come minimo) mezz'ora in meno, anche "Gone girl" si sarebbe comodamente assiso tra i succitati titoli. Perché tutto funziona splendidamente: la storia, la regia, la fotografia, il cast, il magnetismo. Ma arriva un punto che, invece di essere prodromico ad un devastante climax, diventa la china oltre cui inizia una lenta discesa, e il fulgido sole si spegne in un pallido tramonto.
L'efficacia del racconto palpitava in un crescendo narrativo animato da repentini cambi di prospettiva: la narrazione dell'uno e la confessione dell'altra si intrecciavano rivelando colpe, malizie, menzogne ed omissioni, legittimando lo spettatore a coltivare la speranza di veder finalmente cadere il velo. E certo, il velo cade, ma per ottenere un maggior effetto complessivo l'epifania doveva fungere da finale, lasciando il resto a sottintesi e immaginazione. Ma questo non avviene: la storia si annacqua banalmente, e l'esito ne risente.

"Gone girl" ha sfaccettature interessanti nel momento in cui varia toni e argomenti. Tema portante è senza dubbio l'analisi della (e delle) personalità che di norma si assume per piacere ad altri, e la perversa quotidianità che ne deriva quando si sceglie di restare maschera anche in un rapporto che diventa coniugale. Parallelamente si accendono gli esacerbati ed aspri toni satirici con cui si parla dei media (attuale finestra sul mondo, che illude di avere una sguardo ravvicinato su ogni cosa) e dell'opinione pubblica (sempiterno arrogante diritto di poter esprimere una giudizio su ciò che non si è e non si ha).

Al centro della scena, affiancata da un Ben Affleck tendenzialmente monocorde, ma ben supportata da Kim Dickens (la detective Rhinda Boney) e da un brillante Tyler Perry (l'avvocato Tanner Bolt), si staglia la bellissima Rosamund Pike, in una prova superlativa ed estremamente poliedrica che la consacra al grande cinema.

Vale la pena vederlo, probabilmente; ma senza attendersi un capolavoro.