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I SOPRANO - STAGIONE 6 regia di Timothy Van Patten, John Patterson, Allen Coulter, Alan Taylor, Henry Bronchtein, Jack Bender, Steve Buscemi, Daniel Attias, Lee Tamahori, Mike Figgis, Peter Bogdanovich, altri

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Niko.g     8 / 10  26/09/2021 16:51:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Voto e commento a tutta la serie (con spoiler).

STEREOTIPI?

"Mio padre era così, mio zio era così. C'era un'epoca in cui un italiano non aveva molte altre possibilità. Forse per essere un ribelle nella mia famiglia avrei dovuto vendere mobili da giardino sulla statale 22".
(Tony Soprano)

Si dice che questa serie contenga stereotipi etnici. In realtà, per ammissione dello stesso creatore David Chase, non fa altro che basarsi su una visione antropologica dei mafiosi italo-americani: la loro vita quotidiana, le consuetudini radicate, i problemi familiari e sentimentali che si incrociano con quelli lavorativi… il tutto visto attraverso una rappresentazione tendenzialmente iperrealistica, fatta di situazioni complesse e quasi mai lasciate al caso. Gli stereotipi, in questo caso, non sono altro che valori e tradizioni tramandati di generazione in generazione che consentono ai membri di un gruppo di identificarsi per condivisione. Bisogna allora pensarci due volte prima di parlare di stereotipi intesi come giudizi superficiali e privi di fondamento. Spesso c'è un fondo di verità che è del tutto legittimo evidenziare. Ad esempio, dire che a Napoli fare il caffè è un'arte, è un'affermazione basata sul vero. Chi attribuisce agli stereotipi un'accezione esclusivamente negativa, vede un mondo dove tutti gli esseri umani sono uguali, indistinguibili e senza un'appartenenza sociale. A questo punto, vivere a Dublino o a Napoli non farebbe alcuna differenza sul piano del tessuto sociale. Le differenze le vedi solo tu, che c'hai in testa gli stereotipi.
Probabilmente è anche questo aspetto antropologico ad aver suscitato l'interesse per la serie da parte degli spettatori americani, molto più intelligenti di noi da questo punto di vista. Negli Stati Uniti, infatti, la serie ha avuto un grande successo, cosa che non è avvenuta in Italia, presi come siamo dal politicamente corretto, dal dover sempre pesare sul bilancino i pericolosissimi stereotipi e dal lavarci la coscienza con le litanìe soporifere di Rula Jebreal.
Va anche detto, a parziale giustificazione della scarsa diffusione de "I Soprano" nel nostro Paese, che in questo caso l'Italia è anche il luogo del lavaggio dei panni sporchi, visto che sappiamo bene come ebbe origine "Cosa nostra statunitense" e quali traiettorie percorressero i fiumi di eroina.

Fulcro della narrazione è il personaggio di Tony Soprano, boss mafioso del New Jersey, sviscerato nella profondità dei suoi stati d'animo e sensi di colpa. La narrazione è progressiva e i personaggi crescono e sviluppano le loro vicende diventando a volte protagonisti di piccoli "minicicli" interni. Un esempio su tutti è il personaggio di Gloria Trillo, che entra di prepotenza nella terza stagione facendo tremare l'intera serie (splendida Annabella Sciorra e la sua interpretazione).
Uno degli elementi di maggiore originalità è la simbologia che s'innesca nell'intreccio narrativo e che crea una specie di mitologia interna al racconto. Ricorrenze, cene, rimandi ad avvenimenti passati, allusioni, metafore e altri espedienti retorici sono solo alcuni degli elementi che hanno portato la narrazione a svilupparsi su più livelli: psicologico, sociale e politico.
Chase attinge a piene mani a film come "Quei bravi ragazzi", "Nemico pubblico", "Scarface", la trilogia de "Il padrino" e, al netto dell'illegalità e del crimine, se c'è un aspetto da salvare nel comportamento di questi italo-americani, è il concetto di famiglia intesa come gruppo da difendere, il rispetto dei ruoli e delle regole.
La narrazione procede spesso e volentieri per flashback (l'infanzia di Tony, dove si annidano i motivi della sua ansia), con incursioni perfino nell'onirico (i sogni danno spesso le motivazioni delle azioni coscienti dei personaggi). Attraverso questi espedienti tecnici si rinnova il realismo tragico della saga di Coppola, se si esclude il contegno regale dei Corleone, del tutto estraneo ai Soprano.
L'interpretazione di James Gandolfini riesce a rendere in modo ineccepibile tutte le sfumature del protagonista, portando lo spettatore ad empatizzare con la sofferenza umana di questo mafioso moralmente ripugnante.
La voce italiana di Stefano De Sando è cucita a pennello su James Gandolfini, tanto da sembrare la sua, mentre quella di Gandolfini, al contrario, sembra la voce di un doppiatore.


TUTTE LE VOLTE CHE ESCO, QUELLI MI RIBUTTANO DENTRO!

Lo ripete Silvio Dante, consigliere di Tony Soprano, scimmiottando "Il padrino III", ma è quello che potrebbe dire lo spettatore ogni volta che termina una puntata de "I Soprano". Proviamo a chiederci perché.
La caratteristica di questa, come di tante serie tv, è quella di creare curiosità morbosa (che poi non è altro che dipendenza). Che cosa accadrà nel prossimo episodio? Cosa farà Tony Soprano? Rispondere a queste domande ci spinge a proseguire fino alla sesta stagione, all'ottantaseiesimo episodio, al 4.300° minuto. Non tanto perché sia una serie scritta e interpretata con cura. Certo, anche questo aiuta, ma non è fondamentale, non è l'elemento strutturale. Fondamentale è conquistare lo spettatore sul piano del conflitto interiore e trascinarselo per anni (insieme ai corposi contratti HBO) con il paradosso del "mafioso buono". Fondamentale è generare una frizione all'ennesima potenza tra le sfere emotive del personaggio. Padre Ralph di "Uccelli di rovo" era lacerato fra la voglia di essere un prete degno e le tentazioni della carne di un uomo giovane e bello: successo garantito. Walter White di "Breaking bad" è lacerato tra il voler essere un signore della droga e un onesto professore di chimica: altro successo garantito… e così via. Qui la sfida è fra la depressione e l'onore, il gangster e il marito, il mafioso e il papà e lo scopo è instillare, puntata dopo puntata, la voglia di vedere come si risolverà il conflitto. Sistematicamente però, il possibile aggancio di un tema morale, la scintilla che indirizza una storia verso la propria soluzione, slitta, lasciando lo spettatore sempre sospeso, sballottato da una formula che garantisce continui innesti drammatici: l'illusione del cambiamento (stabilita a tavolino dagli sceneggiatori).
A questo punto si potrebbe aprire una discussione a parte, per capire se la serialità televisiva sia una forma d'arte come quella del Cinema, oppure una mezza mascalzonata. Non è questo il momento, ma sono sicuro che ognuno di noi conosce la risposta e preferisce rimuoverla per non sentirsi fesso.


LA PSICANALISTA, IL PRETE E L'AGENTE FEDERALE: PICCOLI ANTAGONISTI NON CRESCONO.

Con l'avanzare degli episodi e delle stagioni, troviamo diversi tipi di antagonisti. Quelli cosiddetti "concorrenti" (ovvero le altre famiglie mafiose, come i Lupertazzi) e i non concorrenti, come ad esempio la psicoterapeuta Jennifer Melfi (interpretata da una bravissima Lorraine Bracco), Padre Phil Intintola e l'agente dell'FBI Dwight Harris.
Generalmente, se c'è un ruolo che suscita coinvolgimento è proprio quello dell'antagonista. È lui che innesca la miccia per far "esplodere" il protagonista, soprattutto se quest'ultimo è un antieroe. Si dà il caso, però, che nella serie "I Soprano" gli antagonisti non concorrenti abbiano le polveri bagnate o che sparino a salve.
Padre Phil, guida spirituale di Carmela Soprano, è un prete debole, con ottime potenzialità, ma sostanzialmente evanescenti (l'episodio "Un conto da saldare", anche nella sua evanescenza ai fini di una svolta narrativa, resta comunque il migliore dell'intera serie).
La dottoressa Melfi segue a ruota: anche lei è un'ottima professionista, però abbaia ma non morde come potrebbe, vittima lei stessa di sbalzi emotivi.
Infine, l'agente Harris proprio non ci arriva a capire che deve piazzare una cimice nell'ufficio del "Bada Bing". Un'operazione tutt'altro che difficile per l'agenzia governativa più importante al mondo e che, oltre ad essere stata più volte messa in atto dall'FBI, ha riservato nella realtà anche momenti comici, come nell'intercettazione ai danni di Pellegrino "Butcher boy" Masselli: "Accidenti, non sapevo di appartenere alla famiglia Genovese".


NON VEDO, NON SENTO, NON PARLO.

Carmela Soprano (Edie Falco), moglie di Tony. Un personaggio, un mito. Lei ha sempre una teglia di pasta pronta nel forno, o qualche etto di capocollo in frigo per sfamare in qualsiasi momento chiunque varchi l'ingresso di casa sua. Stereotipo della moglie che si prende cura del marito, dei figli e della casa? Soltanto una femminista accecata potrebbe affermarlo. Carmela è una casalinga convinta, come ce ne sono milioni nel mondo, che ha fatto una scelta e che svolge le sue mansioni con grande dignità. Non pensa che sia la carriera lavorativa a dare dignità alla sua persona.
Tra i personaggi che ruotano attorno a Tony, c'è soprattutto lei. Dove hanno fallito la dottoressa Melfi, Padre Intintola e l'agente Harris, sarebbe potuta arrivare Carmela, lanciando la serie nella stratosfera. Ma niente da fare. Anche l'arco del suo personaggio è deprimente. Quando si trova davanti alla contraddizione delle sue convinzioni da fervente cattolica con le azioni immorali di suo marito, sceglie quasi sempre di ignorare il problema. Idem per la figlia, Meadow. Il suo disgusto per le azioni del padre, di cui aveva avuto presto sentore e una serie di potenziali conferme (compresa la morte del suo fidanzato Jackie Jr.), viene archiviato e sepolto in men che non si dica: David Chase non ha nessuna intenzione di sviluppare un antagonista degno di Tony Soprano, che rimane così libero di sguazzare da un episodio all'altro, di stagione in stagione, senza che nulla cambi realmente. Un vero peccato, visto che la depressione avrebbe potuto rappresentare l'aggancio per una catarsi epocale.


VORREI, MA NON POSSO. (spoiler!)

È dunque abbastanza evidente che risolvere i conflitti morali, chiudere sottotrame e cercare il definitivo, non sia proprio il punto forte della serie, deliberatamente ambigua. In "Caccia al russo", tanto per fare un esempio noto, il russo preso a pistolettate riesce a scappare e nessuno ha mai saputo che fine abbia fatto (e non si tratta di un personaggio irrilevante viste le dinamiche vendicative sempre dietro l'angolo). In un altro episodio, Tony presta al suo amico Artie Bucco 50.000 dollari che lo stesso Artie non potrà restituire, ma Tony si accollerà il debito e lo riscuoterà lui stesso. Come abbia fatto però a recuperare l'ingente somma prestata ad Artie Bucco nessuno lo sa.
L'apoteosi dell'ambiguità, però, la si raggiunge nel finale. Non sappiamo se quella scena rappresenti la morte di Tony vista dalla sua stessa prospettiva oppure la mera possibilità della sua morte. Una conclusione volutamente incompleta e frustrante, che lascia allo spettatore il compito ingrato di orientarsi in un numero ristretto, ma illusorio, di possibili esiti. Uno di questi è che lo schermo nero non rappresenti affatto la visuale di Tony spenta da un proiettile, ma quella dello spettatore, oscurata dalla conclusione della serie. In altre parole, la vita dei Soprano prosegue, ma siamo noi ad esserne esclusi. Interrompendo la scena in quel preciso momento, Chase ammette di non poter rendere giustizia delle indicibili infamie perpetrate da Tony Soprano e finisce per renderlo immortale ("don't stop" le ultime parole della canzone), sbattendoci in faccia il paradosso del gatto di Schrodinger e guadagnandosi allo stesso tempo un'opportunità, quasi scaramantica, per un possibile seguito che tuttavia, amara ironia della sorte, non ci sarà.


"Dovrei essere morto e invece sono vivo. Sono l'uomo più fortunato del mondo. Dopo quello che è successo, ogni giorno è un dono, per me".
(Tony Soprano)