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12 ANNI SCHIAVO regia di Steve McQueen

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     7 / 10  08/10/2014 14:00:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Hunger" e "Shame" sono di gran lunga superiori, eppure, come spesso succede con l'Academy, Steve McQueen l'Oscar se l'è aggiudicato con la pellicola sicuramente meno meritevole del lotto.
"12 anni schiavo" non è certo un brutto film, semmai soffre di schematismo e convenzionalità varie, è basato su una storia che dallo sceneggiato "Kunta Kinte" in poi ci siamo sorbiti in tutte le salse. Il problema sta nell'assenza di sorprese, nell' uniformità di personaggi mai realmente compiuti causa assenza di sfumature.
C'è il male e ci sono gli schiavi, c'è il protagonista vessato e un mondo circostante dal quale non può farsi sopraffare. Da uomo libero dello stato di New York a prigioniero su un battello fluviale destinato ad attraccare presso le piantagioni del sud il passo è breve. C'è l'annullamento dell'identità, calpestata e umiliata, sostituta a negazione della vita precedente così tracciando il confine tra uomo e bestia da soma.
La vendita e il trattamento disumano: madri separate dai figli, fuggitivi impiccati, schiene maciullate dalle fruste; tutto orrendo eppure risaputo in un percorso infernale all'interno del quale il protagonista deve reprimere se stesso per restare vivo.
Non è l'eroe in grado di opporsi alla mano che lo batte, è solo un uomo come tanti, spaventato dalla condizione in cui si ritrova ma speranzoso di tornare a quella vita strappatagli in modo vile.
Senza strafare Chiwetel Eijofor riesce a convincere con la sua recitazione misurata e sofferta, altrettanto bravo è il luciferino Fassbender (sempre più attore feticcio di McQueen) il resto sono vaghe apparizioni sullo sfondo, figure troppo marginali e spesso fuori luogo per lasciare una traccia che vada oltre la mera necessità narrativa.
Lo schiavo bianco e la moglie di colore di un ricco possidente sono invece figure interessantissime, purtroppo confinate in un lasso temporale a dir poco esiguo.
Discorso a parte per Patsey (Lupita Nyong'o), il suo personaggio è sfruttato discretamente ma altrettanto incompiuto tra rassegnazione, disperazione e urgenza di compiacere il suo "padrone". Inoltre non ho trovato poi così eccezionali le doti interpretative della ragazza, lodate un po' ovunque (e premiate ripetutamente).
Un lavoro tutto sommato incisivo e per fortuna privo di facili retoriche, magari banale in alcuni snodi però sinceramente viscerale, sentito, voluto: tanto da sembrare necessario più per McQueen, intento ad esorcizzare i fantasmi del passato, che per lo spettatore già preparato a dovere sul tema.