caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

THE WOLF OF WALL STREET regia di Martin Scorsese

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  18/02/2014 02:17:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Stavolta la qualità del film di Scorsese va al di là dell'aspetto puramente cinematografico, e sono una serie incessante di nette demarcazioni diciamo filosofiche o culturali, con la massiccia presenza dei media a sancire una sorta di sublime antologia (astratta, inedita, occulta) del Capitalismo occidentale degli ultimi decenni. Con Scorsese è difficile ormai essere obiettivi, essendo il suo cinema di oggi tutt'altro che privo di deja vu, vuoi per citazioni rimandi o per quella sua particolare Epica che rende personaggi tanto differenti piuttosto uguali tra loro. Pertanto l'escalation di Belford-Di Caprio non diverge poi tanto da quella di Ray Liotta in Goodfellas e le consorti sembrano le stesse di un tempo (v. Sharon Stone in Casinò). Ai vecchi gangsters à la De Niro Scorsese sostituisce questa sorta di metaforico e dannoso Napoleone dell'economia, mettendo in risalto (e soprattutto plagiando il senso critico dello spettatore, nelle sue velleità interiori) la bellezza appariscente del bene materiale.
Ne esce un ritratto distruttivo ma seducente, compiaciuto e vanitoso che potrebbe suggerire un qualunquismo amaro, che nella società del benessere l'unica ricetta per riempirsi le tasche passa per le strade affollate della disonestà.
Per questo mi sembra che il momento più bello di tutto il film sia quello del vero-finto congedo di Belford tra i suoi dipendenti. E' una sequenza ideologicamente molto ambigua, dove il regista non è né contro né in favore delle sue scelte. E' il richiamo a quella collettività che vorrebbe distruggere e incarcerare questi falsi Miti, ma al tempo stesso li esalta per le loro rocambolesche e ardite imprese. Forse Scorsese sceglie volutamente di non rappresentare il fallimento (quel paravento dietro gli specchi dorati) di tutti quelli che nelle mani del protagonista hanno visto sfumare migliaia di dollari, perché è un processo che premia chi sale sul carro del vincitore. In tre ore di pellicola veniamo rivestiti da un enorme bagaglio di sensazioni, ma malgrado tutto non siamo in grado di disprezzare il personaggio. Non è tutto carburato a dovere, e spesso sembra di ritrovare gli stessi vecchi film, perché Scorsese apre e chiude nel segno dei vecchi sogni, sulle mete da raggiungere ad ogni costo, sull'ambizione che profana ogni buon senso e ogni tipo di morale. A volte, corre la nostalgia se si pensa che un film come Fuori Orario (o Mean Streets magari) non lo vedremo mai più. Ma resta quel tacito dissenso che provoca disagio, quando e se il Castello di carte viene improvvisamente bruciato, come se tutto il desiderio di trionfo in questi difficili anni non contasse più. Sembra un personaggio à la Bret Easton Ellis, ma è la sua continuità, creativa e insieme distruttiva, a rincuorarci. Purtroppo o per fortuna?