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IL CAPITALE UMANO regia di Paolo Virzì

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  16/07/2014 15:17:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto", dice la moglie al marito, questi imprenditore cinico e privo di scrupoli.
Al che risponde lui serafico "Abbiamo vinto, ci sei anche tu tesoro".
Emblematica questa frase, un po' il sunto della pellicola ambientata in Brianza ma che potrebbe trovare asilo in un qualsiasi luogo del paese, ormai preda di una crisi spacciata come finanziaria ma soprattutto morale. C'è da una parte l'Italia dei poteri forti che lucra sull'altrui pelle mentre architetta investimenti più o meno leciti, dall'altra parte della barricata poveracci buoni solo a lamentarsi o nello scaricare le colpe sui centri di comando, senza rendersi conto di essere complici di quel malessere, di aver contribuito a crearlo cedendo stupidamente alla passività e all'apatia.
Virzì abbandona i toni più caustici della commedia impegnata, si fa serio in questo suo spaccato sociale in cui un "incidente" innesca una serie di eventi analizzati da un triplice punto di vista.
Il ciclista investito e lasciato agonizzante a bordo strada è il macabro punto d'incontro tra due famiglie "bene" di quel microcosmo esclusivo, in cui il milionario è il top dell'ambizione medio-borghese. C'è da conquistare uno status sociale: casa splendida, piscina, campi da tennis, auto di lusso, il possedere diventa la base da raggiungere con ogni mezzo, fosse pure quello di mettere a repentaglio la sanità del proprio nucleo famigliare.
Lo script si fa cupo mentre a pagare sono sempre i soliti noti, certi personaggi restano in piedi nonostante condotte deprecabili che di riflesso infettano figli adolescenti. Il guizzo di speranza finale non squarcia il sudario in cui il paese è avvolto, colpito al cuore ripetutamente anche dall'estinguersi della cultura nel nome di sua maestà il profitto.
Notevole l'apporto del cast, efficace nel dare vita a personaggi decisamente credibili con uno slang "lumbard" affrontato alla perfezione soprattutto da Gifuni e Bentivoglio. La debuttante Matilde Gioli è una scoperta coi controfiocchi, mentre vengono esposte le motivazioni per cui il paese non riesce più a rialzarsi. Le fondamenta sono putride, come coloro che lo reggono, e chi sta in mezzo è a sua volta perduto in utopie preparate a puntino. Virzì non punta il dito in maniera banale solo contro i benestanti, mostra infatti le bassezze tra la gente comune facendo un tutt'uno amorale a prescindere dal ceto sociale.
Il suo sguardo è giustamente impietoso verso un paese in cui una vita diventa capitale umano, ovviamente monetizzabile.