Nella prima scena conosciamo già l'identità dell'assassino, direi che sia abbastanza originale, un punto a favore. Altro aspetto apprezzabile sono le indagini giornaliere, un conto alla rovescia di poche ore, da trascorrere perlopiù sull'unico indizio disponibile: la foto dell'imminente vittima. Foto gentilmente concesse dal diretto interessato, un serial killer, con la faccia non proprio da serial killer (Keanu Reeves), che scherza in maniera pericolosa e tutt'altro che giustificata con un detective con la faccia non proprio da detective (James Spader). Questo giochino diabolico è il fulcro del film. Il bisogno l'uno dell'altro, come uno Zenigata-Lupin, sempre a corrersi dietro per dare un senso alla vita dell'amato nemico. Il problema è che tutto questo non funziona, perché il rischio che corre Reeves è troppo alto e non sembra avere un solido motivo di esistere. Ogni omicidio rischia di essere catturato, ed è sempre tranquillo anche quando le sue speranze sono vicine allo 0, perché lui riesce persino a sfuggire all'occhio di un elicottero. E poi addirittura si consegna! Ma per cosa?! Per sentirsi dire grazie? Naaaa... John Doe si sta rivoltando nella tomba.