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PRISONERS regia di Denis Villeneuve

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sev7en     7½ / 10  05/01/2014 17:47:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nel giorno del ringraziamento, due famiglie americane vivono il peggiore degli incubi, la scomparsa delle proprie bambine e mentre la polizia cerca di far luce sul caso, Keller Dover, uno dei genitori, conduce una claustrofobica indagine parallela.
Quando guardando fuori della finestra non si scorge più l'orizzonte, quando le certezze, che sembravano granitiche, si lasciano trasportare dal vento come polvere, quando le tenebre e l'oscurità riempiono l'abisso che la solitudine, il senso di colpa, l'impotenza di poter risolvere, ora, subito, immediatamente, scavano in modo forsennato dentro il nostro io… si annulla ogni differenza tra l'uomo e la bestia.
Denis Villeneuve, regista con alle spalle pochi ma significativi lungometraggi, torna in sala con un thriller che rinuncia ad ogni compromesso di redenzione, mostrando come due famiglie stile Mulino Bianco, nel giorno del Ringraziamento (al Signore…), possano finire nell'oblio al pari di un'esplosione controllata quando, piano dopo piano, l'impressione di un allontanamento temporaneo timbra invece il biglietto di sola andata per l'ignoto.
La polizia, diversamente dal solito, prende subito sul serio la questione, schierando in prima linea il suo detective più perspicace, un fenomenale Jake Gyllenhaal, analitico, metodico, calmo e convito delle proprie capacità, almeno inizialmente..., mentre un Hugh Jackman da Oscar da sfogo alla più brutale delle bestie: un padre accecato dalla disperazione e lorogato dal rimorso di una promessa.
Il film è ambientato in un indefinito presente, confinato all'interno di una provincia americana in cui ogni abitazione sembra essere uno stato a sé, per la totale indifferenza con cui si guarda oltre le proprie mura o la pacatezza con cui "partecipa" agli appelli accorati di Keller, al secolo Wolverine, padre di Anna, una delle bambine scompase, di suo figlio e di Franklin, il padre dell'altra bambina, Eliza.
Suo figlio ricorda che prima che le bambine sparissero stavano giocando attorno ad un camper, ora, purtroppo, scomparso...
Mentre gli "uomini" si trovano in strada, in casa si consuma il dramma della madre di Anna, una fin troppo provata Grace, che oltre ad essere cliente fissa delle farmacie per l'abuso di psicofarmaci, non si fa troppi scrupoli nel rinfacciare a Keller di non averle protette, come promesso, e non ancora ritrovata, come dovuto. A questi due piani narrativi si aggiunge quello del detective Loki, interpretato in modo magistrale da Jake Gyllenhaal che senza dove far ricorso a sovraumane capacità deduttive (vedi CSI) o intuizioni alla Colombo, applica il metodo scientifico alla lettera, sminuzzando ogni singolo evento a particella elementare per incasellarlo all'interno di un puzzle intrigante quanto indefinito. La caccia all'uomo porta all'identificazione del camper ma ancora piu' importante del suo conducente con un unico problema: Alex, è un ritardato mentale, apparentemente con nulla da condividere con quanto accaduto salvo una frase sussurata a Keller, che risuonerà martellante nella sua mente:"non hanno pianto finché non le ho lasciate". La polizia prende in custodia Alex ma nonostante le pressioni di Keller ed i dubbi del detective è costretta a lasciarlo libero dando il là a quella che potremmo definire la seconda parte della pellicola, decisamente più movimentata e dai ritmi incalzanti. Se nella prima parte la necessità di creare un background credibile e accrescere nello spettatore quel mix spiazzante di sicurezza/tranquillità, all'inizio, e smarrimento/disperazione, nel seguito, rischia di apparire logorroica, il regista prende di petto l'intricata sceneggiatura di Aaron Guzikowski dando voce ad ogni singolo attore in campo che come in un'orchestra, all'unisono, suona tanto la liturgia della Parola, identificata dal sacerdote giudice e carnefice o dai precedenti storici dei personaggi, dai temi musicali ispirati ai canti religiosi che stridono come dita su una lavagna con la crudeltà della violenza mostrata, con le improvvise battute d'arresto tra un'azione e l'altra, come a riprendere fiato, mentre si sprofonda sempre più in basso, nella ragione e nei sentimenti, con un filo sotteso verso il vuoto tra la pazzia e l'ira funesta.

La vera forza di Villeneuve è quella di aver ignorato ogni cliché dei film dell'ultima decade, lasciando che ogni situazione debordasse e assumesse contorni non più confinati all'interno della pellicola ma estesi e proiettati all'infinito, verso quell'imprevedibilità che caratterizza la vita reale, le situazioni in cui ci si trova, per la prima volta, che si affrontano, da soli, che sembra in qualunque traversa condurre ad un vicolo cieco. Il thriller trasuda riferimenti allegorici in ogni fotogramma ed i labirinti percorsi dai singoli personaggi sono una visione microscopica del grande quadro affrescato, perché non è vero che per tutto ci sia una seconda possibilità, che tutte le cose "andranno bene", che c'è qualcuno disposto ad ascoltare. Gli scatti di ira di Keller mentre tortura Alex possono essere identificate dalle martellate che da al muro, una, due, tre, quattro… perché la distruzione fa breccia negli oggetti materiali ma continua ad essere coltello nel burro all'interno della mente, e questo, questa impotenza, è la chiave di lettura del film.

La sceneggiatura è complessa ed articolata e reggere due ore e mezza di film senza sbavature sarebbe risultato non di questo mondo, difatti sono presenti numerose incoerenze e forzature che una seconda visione, meno attenta alle scene visive e più a quelle celate, portano a galla senza tuttavia minare la bontà dell'opera ma lasciando, questo sì, un po' perplessi.
La colonna sonora è affidata al compositore islandese Jóhann Jóhannsson che anziché fornire riferimenti e coordinate, aggiunge quell'effetto riverbero alle scene: le amplifica, espande e porta all'implosione nelle frazioni di secondo in cui sembrano arrivare i titoli di coda e tutto finire, salvo poi rivelarsi, come già detto, dei pit-stop.

Fincher e Nolan sono avvertiti: in sala solo se accompagnati dai genitori.