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PRISONERS regia di Denis Villeneuve

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Terry Malloy     8 / 10  22/11/2013 15:05:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Riscontro una sorta di cura visiva in qualche modo serissima di questo autore, nel tratteggiare persone che sono sia icone che cuori pulsanti. Il thriller è il genere moralistico per eccellenza, e accostarsene è difficilissimo, credo. Infatti è un genere che non amo particolarmente, eppure "The Prisoners" vale pienamente il prezzo di un biglietto, un film che stanca e logora, che appassiona e onora l'intelligenza di un essere umano, di uno spettatore.
Vorrei indagare e sondare ogni centimetro di questa pellicola, poiché mi è sembrato di assistere a una decalcomania della natura umana e della storia dell'espressione cinematografica. Purtroppo l'unico difetto di quest'opera è che non riesce a completare quel dentro-fuori dal genere che penso sia la marca stilistica di un vero artista. Assistiamo a un'opera di alto, verticistico intrattenimento, ma che pur sempre rimane legata agli stereotipi di genere, a quella sensazione di aver davanti un giocattolo narrativo perfetto, ma senza il sapore di un fondo psicologico che anima ogni mente artistica.
Eppure, la magia a volte è fortissima: come non riandare (cito un esempio e basta per non essere prolisso), anche giorni dopo alla visione (cosa che nel thriller è rarissima), a quelle carezze morbose, ma in fondo espressione di una mente distrutta dalla crudeltà e follia della vita, date da Bob Taylor all'orsacchiotto posato tra le fiaccole "normali, borghesi" di una provincia scossa dall'Irrazionale? Quel mescolarsi di morbosità incolpevole e normalità ipocrita e leggera mi ha fatto pensare, quel suicidio, quella vita spezzata due volte e persa nelle spire di un labirinto che sarà, sempre, oscuro. Non c'è nessuna luce, nessun suono, nessun segnale che potrà vincere le tenebre dell'irrazionalità. Per questo il motivo della "lotta contro Dio" è stanco come il suo portavoce, il suo paladino. Non c'è nessun motivo, questa è la grandezza e la sconfitta del thriller. Villeneuve è un regista classico e molto competente, i suoi personaggi attraversano l'intera gamma dei sentimenti possibili, ovviamente sempre constatando l'esiguità sempre più onerosa del format cinematografico. Menzione d'onore per Gyllenhall, che dà vita a uno dei detective più veri e cupi degli ultimi anni, intossicati da queste figure. Un plauso al piccolo, grande, nuovo psicopatico del cinema americano, David Dastmalchian, già visto in "The Dark Knight" nel ruolo dell'attentatore di Gordon, "la tipica mente attratta da Joker". Solo che stavolta, il suo Bob Taylor rappresenta la tenerezza del morboso, del folle, e purtroppo l'impossibilità fisiologica che qualcuno di noi normali possa capire queste persone. Stavolta, grazie al cinema (e non in modo retorico come in certi film del passato), proviamo un barlume (falso e comunque ipocrita) di comprensione, e ne siamo grati.