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PROFESSIONE: REPORTER regia di Michelangelo Antonioni

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amterme63     7½ / 10  27/02/2014 23:29:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Cosa deve interessare quando si guarda un film? Nel caso di "Professione Reporter" e in genere in tutti i film di Antonioni ciò che conta è la vicenda interiore dei personaggi, i loro bilanci esistenziali. E' una materia prettamente intellettuali e che coinvolge in genere poche persone; per questo i film di Antonioni sono solitamente poco visti.
In "Professione Reporter" viene preso in considerazione il concetto di identità e realizzazione di se stessi. Alcuni critici cinematografici hanno paragonato la storia di David Locke a quella di Mattia Pascal. Entrambi insoddisfatti di se stessi e della propria vita, colgono l'occasione per presentarsi al mondo con un'identità diversa, nell'illusione di poter effettivamente vivere diversamente, in maniera più libera e nuova. Nei fatti si accorgono invece che il mondo è troppo complesso e non può essere ingannato così facilmente. Poi la propria essenza umana non la si può cambiare semplicemente assumendo un nuovo nome; il carattere debole e rinunciatario rimane il medesimo.
David Locke quindi si lascia trasportare passivamente dagli eventi anche nella sua nuova identità che lì per lì gli aveva dato l'illusione di rovesciare completamente il tipo di esistenza condotta e il suo significato. Il tutto finisce con una sconfitta e con la constatazione che conoscere veramente una persona (sia da parte del soggetto stesso che da parte degli altri) è impresa difficile o impossibile, soprattutto sono proprio le persone che più sono vicine che non conoscono che gli sta accanto.
Questo tema è svolto in maniera indiretta e suggerita, tramite brevi scene esemplari ed esplicative (i flashback, alcuni dialoghi) e lunghissime scene di vita vuota e routinaria (efficaci nel comunicare l'inutilità e lo smarrimento, dure da digerire per lo spettatore).
A confronto con i film dal "Grido" a "Deserto Rosso" qui c'è più distacco e freddezza (negli altri film c'era più pathos e sofferenza sentita). La storia di David Locke è più schematica e non "prende" come le storie della serie Grido-Deserto Rosso.
Poi qui Antonioni non rifiuta più in toto le convenzioni stilistiche dei film mainstream (come aveva fatto fino a "Blow Up" escluso). C'è la storia del traffico d'armi con tanto di torture ed esecuzioni, c'è la sottotrama delle ricerche (più concrete e fruttuose rispetto a "L'avventura") con tanto di coincidenze fortuite tipicamente filmiche (Locke che rientra in albergo proprio mentre la moglie stava telefonando, ecc.) e questo un po' stona con il tono filosofeggiante del film. In "Blow Up" Antonioni era riuscito molto bene a fondere convenzione cinematografica e riflessione filosofica, in "Professione reporter" gli riesce meno bene.
In ogni caso rimane sempre di altissimo livello l'abilità di Michelangelo Antonioni di muovere la macchina di presa (incredibile e bellissimo il lungo piano sequenza finale - da far invidia a Hitchcock), di dosare i piani di ripresa e curare un montaggio molto significativo.
Film molto bello da vedere, ma che mi ha lasciato un po' insoddisfatto.