Ad un altitudine di 600km sopra il pianeta terra, dove le temperature improvabili, il silenzio e la mancanza di ossigeno dettano le proprie regole, la vita è impossibile. Dallo spazio il nostro pianeta ,mostrandosi dinnanzi ai nostri occhi in tutta la sua straordinaria bellezza , avrebbe la parvenza di un placido ambiente all'interno del quale in realtà vivono caoticamente miliardi di anime. Da lassù saremmo spettatori, esseri passivi immersi nella maestosità dell'universo. Spettatori di un palcoscenico di cui non riusciremmo ad apprezzare le sfumature offerte dalla magnificenza della volta celeste, poiché saremmo costantemente braccati dalla pioggia di detriti , frutto di reazioni a catena, causa\effetto di ogni azione che prende vita nell'universo. Inghiottiti dal vuoto dell'oscurità, vivremmo nel silenzio e di quel poco ossigeno che ancora ci resta, fluttuando perduti alla deriva del nulla. Una vita in assenza di gravita',Ryan Stone é così che vive, ai margini della terra madre, isolata dalla vita che da qualche parte, laggiù, sta continuando a scorrere senza di lei."Mi alzo, lavoro e guido". Gravity rappresenta l'universo interiore di tutti quegli esseri umani che devono sopravvivere ai detriti scaturiti dalla reazione a catena di un lutto. Un universo non molto diverso da quello che si espande sopra le nostre teste, contrassegnato dalle medesime regole che rendono la propria vita impossibile da vivere. La stessa assenza di gravità, lo stesso respiro flebile per la mancanza di ossigeno e quella costante sensazione di galleggiamento alla cieca nell'infinito della propria tragedia. In mezzo a questo non vivere però, alberga il nostro istinto , quell'istinto che ha consentito alla nostra specie di sopravvivere, nonostante tutto, all'incedere del tempo e che come un ultimo sorso di ossigeno continua a tenerci in vita, guidandoci e consolandoci quel tanto che basta a sopraffare il desiderio di resa. A tal proposito è significativo il personaggio di Matt Kowalski. Egli rappresenta quell' ultima barriera che ci separa dall'oblio. È la stella che guida ed illumina il cammino quando esso ormai sembrava irrimediabilmente perduto per sempre, consegnando alla nostra ragione l'input necessario al superamento di ogni spiraglio di arrendevolezza e di inquietudine. -Devi imparare a lasciare andare- esclamerà Kowalski in una delle scene più emozionanti della pellicola, esortandoci a riflettere che nella difficoltà di mettere in pratica una simile richiesta si cela l'unica soluzione possibile per poter affrontare i problemi ed andare avanti. -Hai perduto tua figlia, non può succederti nient'altro peggio di questo-. Anche se non ho figli, sono certo che veder scivolare dalle proprie mani l'esistenza di un figlio deve significare morire dentro e morire dentro implica di non poter continuare a vivere neppure fuori. Penso che una simile tragedia sia umanamente inaccettabile e che sia superfluo persino provare ad addentrarsi in una spiegazione fatta di altre parole oltre a quelle espresse sin qui, perché nessuna combinazione di esse, neanche la più ricercata ed elaborata, potrebbe riuscire a carpire l'emotività che rappresenta un simile lutto. Tuttavia questo film tenta di non farci dimenticare l'importanza di andare avanti, di trovare un senso a ciò che un senso sembra non averlo più. Trovare ancora un senso alla propria vita, persi alla deriva nel nostro universo, assume i contorni di un'odissea plasmata nella solitudine e dal silenzio, un gigantesco spazio dove la percezione del pianto di un bambino, il suono amico di un cane che abbaia, o semplicemente il calore di una voce le cui parole non trovano linguisticamente la nostra comprensione, ci permettono di restare ancorati al desiderio di sentirci umani e quindi parte integrante di un mondo dal quale ci siamo esiliati. Cuarón, questo regista messicano che ha dato vita ad una delle più belle regie degli ultimi dieci anni, ci consegna un messaggio di speranza, che altro non è che un dato di fatto; l'incredibile forza dell'uomo. Forza intesa, non come materialità del termine stesso, ma come determinazione ad andare oltre, figlia di una volontà che non ha eguali nell'universo. Il regista non voleva sottolineare(come da sempre nel cinema avviene) le capacità umane di sopravvivere anche nelle situazioni più estreme ed inospitali. Qui non si voleva enarrare l'ancestrale lotta dell'uomo contro l'ignoto, ma l'eterno conflitto che l'uomo vive nell'universo ancora inesplorato della sua interiorità. Una battaglia estenuante combattuta nel silenzio e nell'oscurità del proprio io, di cui però possiede, per diritto alla vita, tutti gli strumenti per poter avere la meglio,per rinascere dalle proprie ceneri(la posizione fetale nella stazione orbitante Russa) e per poter nuovamente poggiare il proprio piede su questo straordinario pianeta chiamato terra, imparando a camminare ancora una volta, così da tracciare con le sue indelebili orme la testimonianza di un concreto e materiale passaggio terreno.
oh dae-soo 21/03/2014 13:57:06 » Rispondi Impressionante. Questo è il commento e la lettura definitiva di Gravity, non riesco nemmeno ad andar nel particolare delle tue parole perchè sono assolutamente perfette. Il voto (ma cosa conta tanto?) è un pò diverso rispetto a quello che sembra trasparire dalle tue parole. Ma sono convinto che con il 3d forse davvero avresti perso un filino questa tua analisi, l'intimità di esaa, ma avresti vissuto un'esperienza molto più intensa. E se trovavi il giusto mezzo tra la TUA esperienza di visione e quello che il film significava avresti avuto una visione indimenticabile.
Peccato che hai messo tutto in spoiler, ti avranno letto molti in meno di quanto sta rece meritava.