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LA VITA DI ADELE regia di Abdellatif Kechiche

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david briar     7 / 10  09/01/2016 08:54:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Contaminazione di fonti diverse che collimano fra loro dando vita ad un'esperienza varia e interessante per alcuni sotto-testi,ma nel complesso dispersiva, e per quanto mi riguarda ingiustificabilmente lunga. Da una parte c'è una graphic novel, che non ho letto, ma a giudicare dalle analisi sembra assumere un tono molto più tragico ed inesorabile fin dall'inizio, chiaramente una storia nata per trasformarsi in dolorosa morte e sofferenza, come se fosse l'Antigone spiegata da una delle maestre di Adele. D'altra parte, torna un modo sottilmente sensibile di trattare la scuola da parte dei francesi, che pur senza grandi approfondimenti suggerisce sfumature che evitano ai personaggi gli stereotipi delle fiction italiane scolastiche, cercando un minimo di verità e spontaneità nei loro comportamenti. Nella prima parte c'è un naturalismo notevole su Adele e su chi la circonda, che viene quasi totalmente perso nella seconda, tralasciando spunti che all'inizio sembravano venir fuori con prepotenza. Se c'è una cosa che non mi è piaciuta, è il progressivo scomparire degli altri personaggi senza alcuna spiegazione, mentre invece avrebbe avuto un effetto maggiore doloroso e veritiero riguardo all'insicurezza dei rapporti in quest'età. Così invece sembra solamente che la protagonista abbia deciso di isolarsi con la sua nuova fidanzata, guida sessuale, e non spirituale. E' sicuramente possibile e anzi probabile che succeda mentre si cresce, ancor più se si parla di relazioni lesbo, ma non sarebbe stato male vedere la reazione spontanea di chi viene lasciato da parte, invece è tutto molto superficiale, come se non fosse rilevante.
D'altra parte, nelle scene di sesso più lunghe è impossibile non pensare ad uno dei quadri più famosi di Egon Schiele, che sembra essere citato in una certa posizione. Come a conferma delle influenze pittoriche nella rappresentazione dell'erotismo, il pittore viene citato più avanti in un dialogo, guardacaso assieme a Klimt, autore de "Le tre età della donna", significativo se si pensa che stiamo parlando della vita di una donna che sta attraversando momenti cruciali di una di queste tre età. Soprattutto, il carattere di happening di certe scene, che rimanda in alcune parti al metodo di Jean Renoir, ma anche ad alcuni tratti della Nouvelle Vague, contribuisce a dare un senso di continuità all'esistenza della protagonista:non smette di esserci dopo il film, la sua vita continua a procedere, solo che non è compresa nel film. E difatti il film non finisce per davvero.
Tutto questo è valorizzato da una protagonista perfetta per questo ruolo, non saprei se la vedrei bene in altri, e una co-protagonista brava in senso assoluto, Lea Sydoux, basta vederla in The lobster.
Grazie a questi modelli sapientemente usati il film crea una sensibilità palpabile che colpisce in più di un'occasione. Eppure, viene rovinata da una dilatazione assurda e ingiustificata, totalmente auto-indulgente. Non è tanto una questione di sequenze da tagliare, quanto di lunghezza delle sequenze presenti, che continuano invano anche quando hanno già svolto la propria funzione ed espresso ciò che era da esprimere. Accade sia per quanto riguarda il sesso, che dopo un po' risulta ripetitivo(tanto l'abbiamo già visto, che senso ha farcelo vedere per l'ennesima volta?) e esercizio di stile fine a se stesso, sia per alcuni primi piani, sguardi, dettagli, camminate.
Anche così, risulta un film ricco di interesse, ma mai davvero folgorante e potente come sarebbe potuto essere. Da vedere, eppure non riesco a non pensare che sia stata un'occasione in parte sprecata di accennare una riflessione su dinamiche sociali contemporanee, che avrebbero avuto un effetto notevole visto il senso verità e spontaneità che Kechiche riesce a comunicare in molte inquadrature..